KINATAY [SubITA] 🇵🇭

Titolo originale: Kinatay
Paese di produzione: Filippine
Anno: 2009
Durata: 105 min.
Genere: Drammatico, Noir, Thriller
Regia: Brillante Mendoza

Nel bene e nel male che sia, Brillante Mendoza non finisce mai di stupire. Lo dimostra in pieno Kinatay, presentato a Cannes nel 2009.

La donna “differenziata”
Oggi Peping si sposerà felicemente con la giovane madre del loro piccolo bambino. Per un povero studente dell’accademia di polizia come lui, ogni occasione è buona per guadagnare qualche soldo e far quadrare il bilancio familiare. Non contento di prendere qualche spiccio attraverso un losco traffico di droga, Peping acconsente ad un lavoro ben pagato, offerto da un suo amico e collega di studi corrotto, e per lui comincia un intenso verso l’oscurità che prende la forma del rapimento e dell’omicidio di una prostituta. Orripilato da quest’incubo notturno, che poi non è altro che un’operazione clandestina di polizia, Peping è obbligato a capire se anche lui è un killer… [sinossi]

Nel bene e nel male che sia, Brillante Mendoza non finisce mai di stupire. L’anno scorso, sempre qui a Cannes, colpì e disgustò molti con la sua pellicola Serbis, e quest’anno la cosa si è ripetuta: Kinatay, infatti, non ha mancato di scombussolare più di uno spettatore, e anche in fatto di disgusto il film non è secondo a nessuno…
C’è sempre una difficoltà intrinseca nell’approcciarsi criticamente all’opera del cineasta filippino. Ogni sua pellicola sembra sempre sfiorare territori alquanto pericolosi, soprattutto le ultime, che paiono a volte potersi impantanare tra il retorico e il compiaciuto e nel farlo spesso non si capisce bene quale sia il grado di consapevolezza con cui il regista si avvicina a tutto ciò. Kinatay ne è forse l’esempio migliore. Pellicola selvaggia, praticamente divisa in due, con un giorno solare, vitale e festoso, tutto virato al bianco-giallo e una notte da incubo, nera e rossa, oscurità e sangue che si confondono. Kinatay è un horror metropolitano scurissimo, uno spietato romanzo di formazione su grande schermo, cinema davvero deflagrato e impaziente di evadere dai bordi dell’inquadratura (come spesso capita in Mendoza, la cui estrema vitalità cinematografica è tutta inserita nell’ambientazione caotica delle città filippine e di Manila in particolare). Il cammino di Peping si apre con un matrimonio e si chiude con una donna smembrata e sparsa per la città – una gamba qua, il tronco va nel fiume, la testa tra la differenziata… – e in mezzo c’è un infernale, eterno, che occupa praticamente metà film. In questo viaggio-fiume, che è a tutti gli effetti un attraversamento della palude Stigia, c’è l’odore di un rifacimento dell’Autohistoria del giovane filmmaker filippino Raya Martin, soltanto in chiave più ripulita e molto meno sperimentale. Dunque il traghettamento spossante creato da Mendoza ha un sapore certamente meno eversivo visto in quest’ottica, ma comunque il regista ha saputo connotare questa peregrinazione del suo protagonista in una duplice accezione, che è sia prettamente antidrammatica sia capace di creare una suspense irreale e claustrofobica, al contrario dell’altra altamente cinematografica.

In questa duplice visione si orienta tutta la pellicola ed è dunque assai difficile distinguerle e analizzarle separatamente. Quel che è certo è che Mendoza dimostra con Kinatay di saper possedere anche tutti gli attributi per affrontare “il genere”, pur se deviandolo ben presto dalla strada maestra. L’educazione alla vita, da sempre al centro della sua parabola artistica, lo svezzamento di Peping che avviene tutto in una notte (o meglio, in un giorno, dato il matrimonio consumato ad inizio film) è comunque declinata qui con quel pizzico di retorica di cui Mendoza non sa fare a meno, lo dicevamo sopra, come in quell’insistere sulla maglietta che il giovane indossa, la maglia della di polizia che frequenta, al quale recita la scritta: “L’integrità, una volta persa, è persa per sempre”. Quasi un monito per Peping, un monito che comunque la pellicola aveva già ben espresso e che dunque non necessitava di una sottolineatura tale. Kinatay è, alla luce di tutto ciò, un’opera che non ci sentiamo di definire ottimamente riuscita, ma che costituisce sicuramente un altro tassello – diverso ma nel quale come abbiamo visto è tutt’altro che difficile trovare punti in comune col resto della sua filmografia – di una produzione artistica tutt’altro che scontata.

Guarda anche  SHOKUZAI (SubITA)

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