LA SOCIETA’ DELLO SPETTACOLO – GUY DEBORD

Nel mondo realmente rovesciato, il vero è un momento del falso.

Esistono libri da cui è possibile ancora oggi ricavare un pensiero illuminante: alcuni sono utili per argomentare, altri invece passano sotto silenzio pur essendo sistematicamente saccheggiati e depredati. La società dello spettacolo di è stato forse uno dei testi più utilizzati negli ultimi trent’anni e, nel contempo, il meno citato. Il libro più taciuto ma dal quale vengono continuamente rubate a piene mani idee e riflessioni. E questo accade un po’ perché la figura di Debord è scomoda, fortemente caratterizzata e schierata; e un po’ perché non è proprio semplice gestire il pensiero del filosofo francese. Il rischio è di generalizzare le sue parole, utilizzando a sproposito i suoi termini, le sue idee. Occorre intanto precisare che spettacolo per Debord non significa solamente rappresentazione, poiché lo spettacolo è la struttura stessa della società dei consumi. Sinonimo di merce, lo spettacolo diventa un oggetto immateriale quando il lavoratore, attraverso il concetto di contemplazione, si trasforma in uno spettatore. Debord in sostanza ci spiega come mai non si è mai giunti ad una vera e propria rivoluzione proletaria pur essendo evidenti e laceranti le e le ingiustizie perpetrate dalla società capitalistica.

Il tema centrale de La società dello spettacolo infatti consiste proprio nella del proletario in consumatore. «Mentre nella fase primitiva dell’accumulazione capitalistica – scrive Debord -, “l’economia politica non vede nel proletario che l’operaio”, che deve ricevere il minimo indispensabile per la conservazione della sua forza-lavoro, senza mai considerarlo “nei suoi svaghi, nella sua umanità”, questa posizione delle idee della classe dominante si rovescia appena il grado di raggiunto nella produzione di merci esige un surplus di collaborazione dell’operaio. Questo operaio improvvisamente lavato del disprezzo totale che gli è chiaramente espresso da tutte le modalità di organizzazione e di sorveglianza della produzione, si ritrova ogni giorno al di fuori di essa apparentemente trattato come una persona grande, con una cortesia premurosa, sotto il travestimento del consumatore»[43]. Se pensiamo alle zuccherose parole dei conduttori televisivi allorquando invitano il fantastico pubblico a non cambiare canale o ancora alle premurose coccole con cui lo spettacolo ci invita a distrarci, a rilassarci facendoci sentire come dei re, allora avremmo chiaro quanto la vera, unica merce, siano in definitiva le immagini. Lo spettacolo per è proprio questo: merce giunta al suo massimo grado di smaterializzazione. Dunque immagine di merce che, proprio perché non-merce, non può più reificarsi ma trasformarsi in un’epifanica apparizione: noi tutti siamo saturi di cose e per questo possiamo solo contemplare la loro rappresentazione, trasformata definitivamente in spettacolo. Il velo di maya che secondo Schopenhauer impediva la visione della verità è ora costituito dall’immagine della merce, ovvero dello spettacolo. Lo spettatore viene ad essere così il lavoratore che non sa di lavorare e, dunque, il tempo di lavoro socialmente necessario viene ad essere sempre più sostituito dal «tempo del consumo di immagini, medium di tutte le merci» [153]. A questo punto poiché le immagini hanno sostituito gli oggetti, il consumo sarà necessariamente consumo di immagini mentre «tutto ciò che era direttamente vissuto si è allontanato in una rappresentazione» [1]. Debord si è sempre potuto vantare di non essere mai stato smentito dai fatti e dagli avvenimenti che si sono succeduti dalla pubblicazione del suo libro (1967) ai giorni nostri; e per questa ragione il compito che si è posto, anche con la costituzione e le attività dell’Internazionale Situazionista, ha coinciso con il tentativo di risvegliare le coscienze degli individui “dall’incubo dello spettacolo”.  Guy Debord  mosse una “guerra  permanente” al vero nuovo oppio dei popoli” che non viene più ad identificarsi nella religione, come aveva profetizzato da Marx, bensì proprio nel consumo di immagini inteso come consumo di merce. Nel mondo rovesciato la percezione della realtà non può essere più accettata come fondante di una qualsivoglia verità oggettiva: la deve essere risvegliata dalla contemplazione dello spettacolo sapendo che, in quella cornice, il vero è sempre un momento del falso.

Guarda anche  FREE RANGE [SubITA]

Compito del vero spettacolo (del teatro contemporaneo?) sarà quindi contribuire a sciogliere quell’incantesimo, sollevare quel definitivo sipario che ci impedisce di conoscere la verità mentre la narrazione continua ad essere capovolta, rovesciata nel mondo in cui il vero continua in eterno ad essere solamente un momento del falso.

rossanobaronciani.blogspot.com

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