JOEL MEYEROWITZ STREET PHOTOGRAPHY 1981 (SubITA)

Titolo originale: Joel Meyerowitz Street Photography
Paese di produzione: USA
Anno: 1981
Durata: 58 min.
Genere: Documentario
Regia: Robert Gilberg

Il senso della vista, col suo mistero, è uno dei responsabili della più grande tradizione filosofica esistente. Quella che ha le sue radici nel dubbio dei dubbi. Il dubbio dei dubbi che strappò una gamba, un braccio e la gioia al Capitano Achab. È reale ciò che vedo? O è la maschera del mostro che mi divora dentro?

“Fatemi guardare in un occhio umano, Starbuck. È meglio che scrutare il mare o il cielo. Ma chi è questo innominabile, imperscrutabile, soprannaturale tiranno che mi comanda contro tutti gli umani affetti e desideri di proseguire, andare avanti, agitarmi tutto il tempo, facendomi fare cose che nella mia vera natura non avrei nemmeno osato sognare?
È Achab Achab?
Sono io, Signore? O chi è che solleva questo braccio?
Ma se il sole immenso esiste solo per l’invisibile divina potenza, come può il mio povero cuore battere, il mio piccolo cervello pensare, se non è Dio che imprime quel battito, che formula quei pensieri, che vive quella vita? E non io.
Per Diana, marinaio. Noi siamo fatti girare e girare in questo mondo come qualunque verricello e il funge da leva.
E tutto il tempo questo cielo sorridente e questo mare insondato.
Ma è un giorno tranquillo e un cielo dolcissimo.”

Infatti non sono pochi i momenti in questo strano documentario in cui il fotografo Joel, come un Achab nell’impermeabile di Woody Allen, mostra una meraviglia commovente alla vista di una luce che si riflette sulla cima di un palazzo NewYorkese.
Oltre all’appassionato di fotografia, in questo documentario potrà rispecchiarsi ogni artista e l’epistemologo che cerca ed esamina i fondamenti della propria passione come Achab sonda i mari alla di Moby Dick.
L’atteggiamento di Joel è il protagonista di questo documentario. Si mostra intimamente connesso non con l’idea chiara di quello che vuole fare, del tipo di foto che vuole realizzare, della mostra a cui deve partecipare, ma con la sensazione di stare facendo quelle cose per un motivo, per un luogo imprecisato dove cade il seme e crescono le radici della sua passione per la fotografia; radici che a loro volta lo portano a fotografare questo o quello, con questa o con quell’altra fotografica ed in questo o quel modo. Le caratteristiche precise di ciò che fa si chiariscono a mano a mano da sole. Lui sa che è giusto così. E che l’atto, le foto, il libro che le raccoglie, ma più di tutti la foto che sta facendo qui ed ora è il “simbolo” di ciò che forse non avviene ma si sente profondamente. È l’artista potenziale. La poesia non scritta della sua esistenza. Soggiogato e spinto avanti per le strade di New York dal mistero fenomenico della Visione. Vuole guardare negli occhi di Starbuck, fotografando i riflessi blu sulla cima dell’Empire State Building.
Non è un caso che proprio in quegli anni Woody Allen girava “Manhattan”, spalmando in faccia allo spettatore tutta la meraviglia che aveva di fronte agli occhi.

Il gap che esiste tra il fare ciò che si sente ma non si sa ed il non farlo per le stesse ragioni. Il sondare scientificamente sapendo che il punto opposto della sonda sta nel cuore umano. Il cercare il cielo negli occhi dell’amata e gli occhi di lei nel cielo. È in quello spazio esistenziale ansioso di dubbio che Joel poggia il trepiedi del suo banco ottico, chiacchierando con l’amico Cody.

Cosa ce ne facciamo, il giorno del universale, quando verranno pesate le opere umane, di tre monografie sull’acido formico?
D’altra parte che cosa possiamo saperne del universale, se non sappiamo neanche quello che può saltar fuori, sino ad allora, dall’acido formico? Fra questi due poli oscilla, pare, l’umano sviluppo.

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