SITA SINGS THE BLUES [SubITA]

Titolo originale: Sita sings the blues
Nazionalità: USA
Anno: 2008
Genere: Animazione, Commedia, Drammatico, Musicale, Spirituale
Durata: 82 min.
Regia: Nina Paley

Sita Sings the Blues è una sorta di patchwork, perfettamente riuscito dal punto di vista cromatico e grafico. La marcata bidimensionalità, in questo caso, enfatizza il valore pittorico delle tavole.

A Precious Little Thing Called Love

La dea Sita segue il marito Rama nel suo in una foresta. Qui viene rapita dal perfido re dello Sri Lanka. Resterà fedele al marito, ma sarà esposta a molte tentazioni. Parallelamente Nina, la Nina Paley, si trova in una situazione analoga a quella di Sita. Tre ironici burattini indonesiani raccontano l’antica tragedia.

Opera singolare questo variopinto lungometraggio, Sita Sings the Blues, scritto e diretto dalla fumettista e animatrice americana Nina Paley (tra i suoi cortometraggi: Fetch!, The Stork, Pandorama, Dandaka Dharma). Vincitore del prestigioso Festival di Annecy, premiato alla Berlinale e presentato nelle selezioni ufficiali di un numero abnorme di kermesse festivaliere (Tribeca, Sitges, Taipei… anche il bolognese Future Film Festival, vetrina italiana del cinema d’animazione), Sita Sings the Blues mescola con garbo e raffinato grafico l’epica indiana Ramayana, le vicissitudini amorose della stessa Paley, l’indimenticabile ugola d’oro della stella Annette Hanshaw, voci narranti sotto forma di silhouette, varie tecniche d’animazione e immagini reali. Le stilizzate rotondità dell’animazione in flash si fondono con tecniche d’antan che rievocano i monumentali nomi di Lotte Reiniger (The Adventures of Prince Achmed, Hansel e Gretel, The Heavenly Post Office) e dell’italico duo Giulio Gianini & Emanuele Luzzati (Il flauto magico, La gazza ladra, L’italiana in Algeri), oltre al tratto abbozzato e frenetico dei siparietti personali della Paley. Sita Sings the Blues è una sorta di patchwork, perfettamente riuscito dal punto di vista cromatico e grafico. La marcata bidimensionalità, in questo caso, enfatizza il valore pittorico delle tavole.

Altra idea suggestiva della Paley è l’utilizzo del repertorio di Annette Hanshaw, celebre cantante degli Anni Venti: una scelta indubbiamente insolita, ma perfettamente in linea con l’eleganza dell’apparato grafico e con lo spirito colto della pellicola, tra la fascinazione per una cultura “altra” e il singolare parallelo tra lo sfortunato matrimonio della e la tragedia amorosa della leggendaria Sita.
I siparietti canori affidati alla voce della Hanshaw, prestata ad una Sita in versione simil-Betty Boop, scandiscono con regolarità la struttura narrativa ma finiscono per appesantirla, per renderla meccanica e troppo prevedibile, nonostante le godibili coreografie arricchite da interessanti gag (la luna che trascina le stelle per cambiare scenario) e alcune variazioni sul tema (si veda, ad esempio, il “videoclip” psichedelico, autentica parata carnevalesca di differenti tecniche animate). Ed è questo, in fin dei conti, l’unico limite, anche se ingombrante, di un lungometraggio indie che dice molto più sull’animazione di tanti (troppi) prodotti commerciali, realizzati da anni con lo stampino – ogni riferimento alla proliferazione di insipide pellicole in computer grafica è puramente casuale.

Sita Sings the Blues, che merita ampiamente una distribuzione italiana, pone sotto i riflettori l’autrice Nina Paley, sia dal punto di vista personale che professionale: a parte la felice idea di questa sorta di elaborazione di un lutto amoroso, la Paley è ora attesa a un prossimo lungometraggio, nella speranza di aggiungere un’altra firma di spessore all’animazione indie statunitense, attualmente “dominata” dall’indiscutibile talento visionario dello stacanovista Bill Plympton (Idiots and Angels, I Married a Strange Person!, The Tune).
Sita Sings the Blues, come altre opere passate al Future Film Festival (Martín Fierro, From Inside, Genius Party), ci ricorda ancora una volta la ricchezza del cinema d’animazione, la varietà di stili, di tecniche: ma, allo stesso tempo, riapre la ferita delle tantissime pellicole di valore sistematicamente ignorate dalle nostre case di distribuzione. E senza scomodare l’animazione del Sol Levante o il suddetto Plympton e altri talenti anglofoni, ci limitiamo a citare alcuni recenti titoli europei, persino passati per i festival del Bel Paese: Nocturna (2007) di Adrià García e Víctor Maldonado, Princess (2006) di Anders Morgenthaler, Strings (2004) di Anders Rønnow Klarlund, Renaissance (2006) di Christian Volckman. Un vero spreco.

Guarda anche  GREATLAND [SubENG]

PS: per farsi un’idea della varietà di stili e tratti grafici della Paley, dell’attenzione nella scelta della colonna sonora e del suo spirito non comune, si consiglia la visione di alcuni suoi cortometraggi, seppur meno rigorosi, come The Stork e Pandorama, facilmente reperibili online.

Recensione: quinlan.it

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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