PHILIP K. DICK – A DAY IN THE AFTERLIFE [SubITA]

Titolo originale: Philip K. Dick – A Day in the Afterlife
Paese di produzione: USA
Anno: 1994
Durata: 56 min.
Genere: Documentario
Regia: Nicola Roberts

In un discorso pronunciato ad un convegno sulla fantascienza tenutosi in qualche università del Canada, se non ricordo male, a metà degli anni 70, papà Dick cercava di dare un contributo alla comprensione di cosa sia l’umanità.
Con mente d’antropologo si chiedeva: “cosa, nel nostro comportamento, possiamo definire specificamente umano? Cosa ci contraddistingue come specie vivente?” Perché qualcosa c’è. Ma COSA? E il suo tentativo si sviluppava nel confronto tra l’androide e l’essere umano. La filosofia della mente ci sta impazzendo su. Non è roba da ridere. La “teoria dei qualia”, per esempio, è una richiesta d’aiuto al lato destro del cervello della specie. Il dibattito è tutt’oggi apertissimo, ed è strutturato sulle stesse basi del convegno di Phil degli anni 70. Si fanno esperimenti mentali in cui si sostituisce gradualmente il silicio ai neuroni umani per vedere a che punto l’umanità cessa di esistere nell’individuo, il quale da quel momento è da considerarsi un “robot” vero e proprio. Si a spremere la coscienza fuori dalla nostra concezione dell’individuo umano, come i rimasugli di dentifricio fuori dal tubetto. Ci si chiede se un termostato sia dotato di coscienza, si formulano mondi possibili in cui l’apparenza e la storia è identica in tutto e per tutto al nostro mondo, ma lì gli elementi chimici che formano la materia sono diversi. Se ne dicono di ogni ed è tutto molto stimolante, insomma. A dimostrazione che sul problema ci si arrovella parecchio.
La genuinità sublime della persona Philip K. Dick spilla saporita come una Guinnes nel discorso che tenne in Canada, che ha come fulcro il concetto altrettanto genuino di “ribellione”.
Dick fa due esempi ben distinti di atti ribelli. Se l’androide è per Dick tutto ciò che è non-umano, controllabile, prevedibile, manipolabile, il sogno delle dittature politiche, la realtà di questi giorni, allora gli atti di ribellione dovrebbero fornire materiale di analisi per cercarci la qualità umana, di cui dovrebbero essere pregni.
Gli esempi che usa nel discorso appartengono da una parte alla categoria dell’atto di ribellione ideologica, di stampo politico, legata ad un concetto, un’idea che si contrappone ad un’altra; dall’altra parte a quegli atti volti ad infrangere una regola, simili a semplici ragazzate, come rubare bottigliette di coca-cola o smontare una radio (che magari trasmette politiche) per calibrarne la qualità del o estrarre qualche componente da montare sulla propria Buick.

<<Mentre i figli del nostro mondo combattono per sviluppare la loro nuova individualità, la loro irriverenza quasi scorbutica per le verità che noi adoriamo, diventano per noi – e con ‘noi’ intendo la classe dirigente – una fonte di problemi. Non mi riferisco necessariamente ai giovani politicamente attivi, quelli che si organizzano in associazioni, con slogan e bandiere, anche perché per me quello è un ritorno al passato, per quanto quegli slogan possano essere rivoluzionari. Mi riferisco a ciascun ragazzo nella sua individualità, mentre si occupa di quelle che definiamo ‘le sue cose’. Per esempio, potrebbe non infrangere la legge mettendosi seduto sui binari davanti a treni che trasportano truppe militari; la sua della legge potrebbe consistere nel prendere la macchina e andare a un drive-in con 4 amici nascosti nel bagagliaio per evitare di pagare. La prima trasgressione ha implicazioni politiche e teoriche; la seconda consiste in una semplice mancanza di accordo sul fatto che una persona debba sempre fare ciò che le viene ordinato, in particolare quando l’ordine proviene da un cartello affisso. In entrambi i casi c’è disobbedienza. Potremmo elogiare la prima considerandola significativa, mentre la seconda potremmo ritenerla semplicemente un gesto irresponsabile. Tuttavia è nella seconda che io intravedo un futuro migliore. Dopotutto, la storia è piena di movimenti di persone organizzate che si oppongono al potere. Qui si tratta banalmente di un gruppo che usa la forza contro un altro, chi detiene il potere contro chi non ce l’ha. E fin ora, in questo modo, non si è riusciti a realizzare nessuna utopia. E io penso che sarà sempre così.
Diventare quello che io definisco, in mancanza di un termine migliore, un androide, significa ciò che ho detto: permettere a se stessi di diventare un mezzo, oppure essere costretti, manipolati, resi un mezzo inconsapevolmente o contro la propria volontà. Il risultato è lo stesso. Ma non puoi trasformare un umano in un androide se l’umano infrange le leggi ogni volta che ne ha la possibilità. L’androidizzazione richiede obbedienza. E, soprattutto, prevedibilità.
Che sia per pigrizia, scarsa capacità di concentrazione, depravazione, tendenze criminali… quali che siano le etichette che volete affibbiare al ragazzo per spiegare la sua inaffidabilità, vanno bene. Ciascuna significa semplicemente una cosa: possiamo dirgli più e più volte cosa fare, ma quando viene il momento che lui lo faccia, tutte le istruzioni subliminali, tutti gli indottrinamenti ideologici, tutte le droghe tranquillanti, tutta la psicoterapia sono una perdita di tempo.
Non salterà allo schiocco della frusta.>>

Sabato 28 Marzo 2020

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Non salterà allo schiocco della frusta.
Non salterà allo schiocco della frusta.
Non salterà allo schiocco della frusta…
Quanti “leoni” oggi, fra i social e sui balconi di casa a gridare “ce la faremo” o a rovesciare secchiate d’acqua. Con quanti strani radicalismi ci si assorda a vicenda in questi tempi bui e muti. Quanti ruggiti violenti di una rabbia cieca e disperata. Ma soprattutto quanta inconsapevolezza, in noi “leoni”, della frusta infame che ci ammaestra e che ci sbatte in mezzo al circo immondo che oggi guardiamo dalla finestra di casa.

 

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