
Titolo originale: In Memory Of
Paese di produzione: USA
Anno: 2018
Durata: 122 min.
Genere: Avventura, Horror, Fantascienza, Thriller
Regia: Eric Stanze
Un’inquieta giovane donna, Teresa, si sveglia in un motel con il corpo coperto di sangue che non le appartiene e frammenti di memoria che si dissolvono come sabbia tra le dita. Inizia così un viaggio febbrile e onirico attraverso l’America, alla ricerca di risposte sul proprio passato, sulle cicatrici che porta dentro e sull’origine di un misterioso dispositivo impiantato nel suo corpo. Ma ogni incontro lungo la strada la conduce più in profondità in un mondo dove il trauma, la follia e la realtà si fondono in un unico, disturbante incubo.
Recensione:
In Memory Of è una discesa all’inferno della mente, un film che sfugge a qualsiasi classificazione e si muove con la stessa logica del sogno febbrile. Eric Stanze, regista di culto dell’horror underground americano (già autore di Scrapbook e Savage Harvest), costruisce un’opera che è insieme viaggio interiore, allucinazione visiva e tragedia psicologica. Il film affonda le mani nella memoria come in una ferita aperta, e ne estrae immagini sporche, dolorose, di una bellezza tanto ruvida quanto devastante.
Sin dalle prime sequenze, Stanze stabilisce un linguaggio visivo che si colloca tra Lynch e Zulawski, ma spogliato del manierismo e del compiacimento. La macchina da presa segue Teresa come una presenza ossessiva, incollata ai suoi tremori, ai suoi respiri, ai vuoti che si aprono dietro i suoi occhi. L’uso della luce naturale, dei colori saturi e del montaggio disorientante crea un flusso sensoriale che rifiuta la linearità. Non c’è tempo, non c’è spazio, solo un eterno presente di dolore e smarrimento.
Jackie Kelly offre una performance da brivido: è un corpo martoriato e una mente che si sgretola, ma dentro la sua disperazione si avverte una volontà di sopravvivere, di capire. Ogni gesto, ogni sguardo è un tentativo di afferrare la realtà prima che scivoli via. Stanze la filma con un rispetto quasi sacro, trasformandola in un archetipo della vittima consapevole, in un simbolo della memoria traumatica che perseguita il corpo come un fantasma intrappolato nella carne.
La narrazione, volutamente frammentata, è una mappa impossibile della mente post-traumatica. Flashback, sogni, visioni e ricordi si intrecciano fino a diventare indistinguibili. È come se ogni sequenza fosse un tentativo di riordinare un puzzle emotivo che non avrà mai una figura completa. Il dispositivo impiantato nel corpo di Teresa diventa metafora della memoria forzata, del trauma impresso nella materia, dell’impossibilità di guarire quando ciò che ci ha feriti è ormai parte di noi.
Ma ciò che distingue In Memory Of da molti film del suo genere è la totale assenza di ironia o distacco. Stanze non gioca con la follia: ci abita dentro. Ogni fotogramma è un frammento di psiche lacerata, ogni suono un richiamo dal subconscio. Persino il ritmo, a tratti estenuante, sembra costruito per costringere lo spettatore a un atto di immersione totale, come un rito purificatore o una seduta di esorcismo.
Le influenze sono molteplici: dall’espressionismo visivo di Begotten al disfacimento identitario di Mulholland Drive, fino al cinema della memoria e del corpo di Andrzej Żuławski. Ma In Memory Of resta un oggetto autonomo, una creatura ibrida che non imita, bensì elabora e trasforma. È horror solo per convenzione: in realtà è un film sulla sofferenza umana, sull’abuso, sull’identità smarrita, su ciò che resta di noi dopo che il dolore ha fatto il suo lavoro.
Nella seconda parte, il viaggio on the road assume una dimensione mitica: stazioni di benzina, motel, deserti e autostrade diventano luoghi di purificazione e condanna. Ogni incontro è una possibile redenzione o una nuova tortura. E il finale, enigmatico e spiritualmente devastante, non offre risposte ma una consapevolezza: la memoria non guarisce, la memoria è ciò che ci tiene in vita.
La colonna sonora, fatta di suoni ambientali e vibrazioni elettroniche disturbate, accompagna questa discesa come un battito cardiaco intermittente. Il suono è corpo, la musica è sintomo: il film si ascolta tanto quanto si guarda.
In Memory Of è un’esperienza estrema, non nel senso gore o viscerale, ma nella sua profondità emotiva e sensoriale. È cinema che non cerca di piacere, ma di ferire. È un rito di passaggio, un frammento di dolore trasformato in arte, un viaggio che si svolge tutto dentro la mente — o forse nel punto esatto dove mente e corpo cessano di essere due cose distinte.
Eric Stanze, con questo film, si conferma una delle voci più radicali e dimenticate del cinema indipendente americano. Il suo sguardo è quello di un visionario che non ha paura di sporcarsi le mani con l’oscurità, perché sa che solo attraverso di essa si può intravedere la luce.
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