FOR LOVE’S SAKE [SubITA]

Titolo originale: Ai to makoto
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2012
Durata: 115 min.
Genere: Musicale, Sentimentale
Regia: Takashi Miike

Tra romanticismo e azione, furibonda e intenso melodramma, For Love’s Sake è l’ennesima conferma del raffinato eclettismo di Takashi Miike. Presentato a Cannes 2012.

Per amore, solo per
Le alpi giapponesi innevate. I genitori della piccola Ai la lasciano sciare da sola per la prima volta. La bambina viene salvata da un grave incidente da un ragazzino, Makoto, che riceve in dono dall’atto eroico una cicatrice sulla fronte. Una ferita che in qualche modo segna un patto di sangue non dichiarato. Undici anni più tardi, nei meandri della metropolitana di Shinjuku, la liceale Ai assiste a uno scontro tra gang rivali. Un ragazzo che non ha mai visto prima sbaraglia da solo tutti gli avversari; ha una cicatrice sulla fronte…

La breve sinossi che anticipa questa recensione non ha più peso del proverbiale sasso nello stagno per quel che concerne l’economia generale di For Love’s Sake, settantunesimo lungometraggio che Takashi Miike ha diretto in ventuno anni di carriera (al novero vanno poi aggiunti cortometraggi, videoclip, lavori televisivi e chi più ne ha più ne metta): l’inarrestabile e geniale cineasta nipponico, dopo aver presentato lo scorso gennaio al Festival di Rotterdam Ace Attorney, basato su un noto videogioco della Capcom, ha già pronto Aku no kyoten, che potrebbe approdare in Italia alla prima edizione del festival di Roma sotto l’egida di Marco Müller.

Ma queste sono speculazioni del tutto prive di fondamento, per cui appare più opportuno tornare a concentrare l’attenzione su For Love’s Sake, presentato tra le visioni di mezzanotte della sessantacinquesima edizione del Festival di Cannes, in compagnia di Dracula 3D di Dario Argento e Maniac di Frank Khalfoun. Una collocazione che rende già sufficientemente palese l’incomprensione generale alla quale è destinato questo strano parto creativo: se nelle séances de minuit dovrebbero trovare riparo i prodotti di puro genere, dall’approccio popolare, in grado di trovare un pubblico di cultori e appassionati, For Love’s Sake si muove in direzione decisamente opposta. Non che il film sia animato da uno spirito elitario, ma il fatto è che la gragnola di generi, ispirazioni, attitudini e bruschi cambi di prospettiva rischia di abbattersi su un pubblico disabituato a tanta libertà formale senza che questo faccia il benché minimo sforzo per attutire lo scontro. Una dimostrazione la si è avuta proprio alla proiezione notturna nel Grand Théâtre Lumière: gran parte del pubblico, accorso in sala soprattutto per togliersi lo sfizio di poter assistere a un evento ufficiale del festival, si è defilato alla chetichella ben prima del termine del film. Una reazione che non rende ovviamente merito al valore intrinseco dell’opera, ma porta alla luce nel migliore dei modi uno dei più gravi fraintendimenti critici degli ultimi anni: il cinema di Miike, spesso considerato semplice espressione delle tensioni più umorali, è in realtà un universo stratificato, colto, mai prono nell’accettazione della prassi o di una visione condivisa.

Esemplificativo da questo punto di vista il modo in cui viene affrontata dal regista di Ichi the Killer la storia d’ sui generis tra Ai e Makoto (e non a caso il titolo e originale della pellicola è Ai to Makoto, letteralmente “Ai e Makoto”): un incipit d’animazione a cui fanno seguito plurime battaglie tra adolescenti a colpi di pugni, calci, mazze e quant’altro, intermezzi musical con balletti deliranti, squarci strappacuori di purissimo melò e una messa in scena del Giappone contemporaneo che non risparmia nessuno, pur con uno sguardo teneramente empatico. Chiunque abbia una certa dimestichezza con la poliedrica arte di Miike non potrà evitarsi un doveroso raffronto tra For Love’s Sake e The Happiness of the Katakuris, capolavoro del 2001 che a sua volta dava spazio al musical e alla stop motion, muovendosi però per il resto nel territorio dell’horror e del grottesco: a distanza di più di dieci anni da quel gioiello Miike dimostra di avere ancora voglia di mettersi in gioco, sfondando le porte del nonsense e traducendo in macchina/cinema anche tutti quegli elementi che difficilmente troverebbero collocazione nei lavori dei suoi colleghi, a Tokyo come nel resto del mondo.

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Sempre in bilico tra commedia – il primo intervento canoro di Hiroshi, innamorato non ricambiato di Ai, spiazza a tal punto da costringere a una risata irrefrenabile –, furibonda violenza e intenso melodramma, For Love’s Sake non dimentica il percorso autoriale di Miike, con evidenti riallacci al dittico dedicato alle gang giovanili di Crows Zero. Ma il vero tratto distintivo dell’opera si rintraccia nella struggente riflessione sull’amore: incompreso, smentito, segreto, frustrato, ma sempre elemento essenziale per considerarsi vivi, scopo primo e ultimo dell’esistenza. In questo senso For Love’s Sake dimostra di avere più di un punto di contatto con il clamoroso e monumentale Love Exposure, capolavoro di Sion Sono. Takashi Miike firma l’ennesimo segmento travolgente della sua carriera: un film che avrebbe meritato di poter concorrere per la Palma d’Oro.

Recensione:  quinlan.it

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By Anam

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