LOVE AND OTHER CULTS [SubENG]

Titolo originale: Kemonomichi
Nazionalità: Giappone
Anno: 2017
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 95 min.
Regia:

Ancora bambina Ai viene mandata a vivere con una bizzarra setta. Quando il leader viene arrestato la ragazza deve reinserirsi nel mondo a cominciare dalla scuola. Ma questo si rivela un percorso tortuoso con cupe deviazioni. L’angelo custode è il mite Ryota, il diavolo tentatore l’affascinante Yuji.

Una storia di formazione anticonvenzionale, una commedia ruvida e un tuffo nelle pieghe oscure della società giapponese, il tutto permeato da una cupa ironia.

Un anno dopo Lowlife Love con Love and Other Cults torna a raccontare una storia di emarginati, di violenza e di silenziosa ribellione: ancora una volta in fondo alla palude maleodorante c’è spazio per gli animi puri. Con Lowlife Love, presentato lo scorso anno al Far East Film Festival, il regista indipendente giapponese Eiji Uchida aveva affrontato, con un tono fra il serio e il faceto, il mondo della gioventù semiemarginata ed insoddisfatta sempre sull’orlo di un vortice creato dalla solitudine pronto ad inghiottirla. Questo Love and Other Cults non si discosta molto né dai temi né dalla struttura del racconto rispetto al precedente, dimostrando come il regista giapponese abbia a cuore raccontare storie non convenzionali.

La protagonista del racconto è Ai, una ragazzina che vediamo in un prologo-flashback oppressa da una madre fanatica religiosa che decide di inviarla in un ritiro spirituale per fortificare la sua fede. Qui la ragazzina trascorre sette anni fino a che la polizia non arresta il capo della setta. Tornata a casa, Ai vaga alla ricerca di qualcosa che le dia un minimo di certezza: prima la scuola, che non aveva mai frequentato, poi un gruppo di balordi da quattro soldi, quindi viene quasi adottata da una famiglia medio borghese e infine l’approdo ai locali notturni prima e al mondo del porno poi.

Un percorso di formazione verrebbe da dire, o più probabilmente un vagare in balia degli eventi alla ricerca di una sicurezza e di una identità difficili a trovare, perché ognuno degli ambienti cui Ai si lega mostra ben presto il suo lato più detestabile.
Unico compagno che spezza almeno in parte in questo peregrinare affannato la solitudine di Ai è Ryota, innamorato di lei sin dai tempi della scuola e sempre sulle sue tracce, come un grillo parlante che cerca di impedire la caduta definitiva negli inferi della ragazza. “Andiamocene via, andiamo a Tokyo” è quello che ripetono ossessivamente un po’ tutti i personaggi di questa amara commedia dalle tinte drammatiche: la di provincia, nel suo squallido grigiore, intesa come una gigantesca trappola che diventa una prigione nella quale è difficile trovare vie d’uscita.

È questo uno dei temi più forti del film di Uchida, insieme al ritratto di una gioventù sbandata e nichilista, all’interno della quale però esiste ancora qualcuno con la purezza d’animo nascosta nel ciarpame: Ryota, che sogna di andare a Tokyo a studiare e che per far ciò non disdegna di fare lo spacciatore pur di mettere da parte i soldi, e Reika, la fotografa subacquea che con il suo amore cerca di sottrarre alle grinfie di un ambiente malsano il nero Kenta, picchiatore gigante dal cuore buono della banda, sono i due che cercano di spezzare il cerchio mefitico e che racchiude le esistenze nella di provincia.
Ma è soprattutto il tratteggio dei personaggi secondari e dell’ambiente, a metà strada tra il punk-kitsch e il gretto, che fanno di Love and Other Cults un lavoro apprezzabile: yakuza di provincia che fanno più ridere che paura, situazioni che sembrano fare l’occhiolino al cinema di Sion Sono, alcune scene memorabili come quella dello stupro che parte con la consueta iniziazione endovenosa di non si capisce bene che con la vittima che cede presto alla lascivia, e che si tramuta altrettanto repentinamente in una surreale danza, le battaglie fra bande per assicurarsi la protezione del capo-yakuza (un Denden spettacolare).

Se le tematiche sono drammatiche nella loro essenza, la maniera con cui Uchida le racconta è ricca di e di brio, quasi di divertimento e, come vedemmo di Lowlife Love, in fondo al marciume c’è sempre un cuore tenero, una scheggia impazzita di purezza d’animo pronta ad esplodere in tutta la sua potenza purificatrice nel tentativo di ritornare a connettersi con un mondo che ha chiuso le porte e ha lasciato fuori, nella solitudine e nell’abbrutimento, una schiera di personaggi alla deriva.

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Love and Other Cults è lavoro interessante, a suo modo originale, che presenta una netta impronta personale e che si pone a metà strada tra il dramma generazionale e le derive trash, surreali ed ipercinetiche tanto care al già citato Sion Sono, un tentativo di raccontare una generazione spesso dispersa e vicina alla dissoluzione.
Tutti i giovani attori sono degni di menzione, oltre al citato vecchio lupo di mare Denden: Sairi Ito nella parte di Ai è brava a cambiare registro a seconda della situazione in cui la protagonista si ritrova nel suo girovagare alla ricerca di un porto sicuro, Kenta Suga nella parte di Ryota ha la giusta ombrosità e un misurato minimalismo recitativo, mentre Kaito Yoshimura, all’estremo opposto, è efficace nella ruolo del folle Yuji, truce bullo arrivista da quattro soldi.

Recensione: linkinmovies.it

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By Anam

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