SHELTER (SubENG)

Titolo originale: Podslon
Paese di produzione: Bulgaria
Anno: 2010
Durata: 88 min
Genere: Grottesco, Drammatico, Psicologico
Regia: Dragomir Sholev

Rado, dodicenne bulgaro figlio di un ex campione di waterpolo, scompare per due giorni e torna a casa accompagnato da due punk anarcoidi, compreso Tenx, che si atteggia a guida spirituale dell’adolescenza ribelle. I genitori, occupati in una verità anestetizzata dalla televisione e dalla routine, non colgono la mutazione del figlio né il messaggio sociale che egli incarna. Quando lo invitano a cena, quel pasto diventa teatro di tensioni generazionali e smarrimenti socio-politici.

La scena si apre su un divano stanco, luci al neon tremolanti che riflettono televisori muti: è qui che nasce Podslon. Un cinema che non urla, ma vibra. Dragomir Sholev orchestra una sinfonia di abissi generazionali, dove il silenzio dei genitori diventa una dannazione lenta, e il ribelle adolescente è l’ultima scintilla in un mondo congelato.

Rado è il simbolo di un’epoca tattile: ha un corpo che muta—tosse, punk, creta umana—ma una voce che non viene ascoltata. I genitori non mentono, ma dimenticano, ripetono la loro routine come liturgie vuote, incapaci di interpretare la metamorfosi interiore che accade sotto il loro tetto. Questa famiglia è un microcosmo bulgaro, o forse europeo: transizione dall’ideologia all’apatia. Nessuno è innocente. Tutti sono complici.

La cena è un rituale di potere rimasto incompiuto. È lì che la voce di Tenx – spettro anarchico che emerge tra piatti e smorfie – spacca la cerimonia. Il dialogo si trasforma in duello: sport vs politica, ordine vs caos, fede nel sistema vs libertà mentale. Gli specchi che riflettono i volti amplificano le ferite interiori: ogni inquadratura è un divieto, ogni ombra è un tradimento.

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Visivamente, Sholev usa piani sequenza lunghi che osservano e opprimono. Non è cinema spazioso, è cinema intra-psichico. Gli interni borghesi sono set gabbia, e l’inquadratura è rotta da rifrazioni: specchi, telecamere di sorveglianza, mura che respirano. Il ritmo è lento, ma cesella ogni dettaglio come fosse un segno divinatorio: i gesti goffi, le pause imbarazzate, le reazioni trattenute.

Ecco l’elemento esoterico: Podslon non parla solo di generazioni. Parla di ingranaggi occulti: la cultura come prigione, la memoria come atto sovversivo, il silenzio come oppressione. È un’opera che tenta un’esegesi dei piccoli conflitti come sintomi di collapse storici: la scomparsa del figlio non è una sparizione casuale, ma un rifiuto simbolico della narrazione passata. Rado ritorna cambiato, e non chiede perdono. È il fantasma affamato di sé stesso, in un paese che non lo riconosce.

Ci sono momenti di grottesco sottilissimo: la chiamata via Skype a un presunto figlio in America che si rivela sconosciuto; la madre che pretende ordine ma non sa dove cominci. Sono scene che ridono dell’assurdo, ma feriscono come coltelli. Sholev osserva senza moralismo, ma con un’aderenza fredda al disagio.

Podslon è cinema rimosso, latente. Una mappa spirituale sparsa nelle crepe della famiglia moderna. Ti resta dentro perché non ti spiega. Ti provoca domande: chi siamo quando smettiamo di crescere? Chi reclama la nostra attenzione, se noi stessi non ascoltiamo più?

È un esorcismo silenzioso: ci chiede di riconoscere il fantasma che abita le mura familiari. E ci lascia con lo specchio in mano, e con il rumore di una generazione che non parla ma riflette.

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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