
Titolo originale: Dead Talents Society
Nazionalità: Taiwan
Anno: 2024
Genere: Horror, Commedia, Fantastico
Durata: 110 min
Regia: John Hsu
Una giovane fantasma inesperta si ritrova in un’aldilà competitivo, dove i defunti devono guadagnarsi la permanenza spaventando i vivi. Con l’aiuto di un agente appassionato e una diva decaduta, intraprende un viaggio per scoprire la propria unicità e sopravvivere nel mondo degli spiriti.
Se l’aldilà fosse un talent show, ci sarebbe da ridere. E da tremare. Dead Talents Society ci racconta proprio questo: un mondo post-mortem in cui l’unica possibilità di non svanire nel nulla è… restare sulla cresta dell’onda. Come? Facendo paura. Spaventando gli umani con performance memorabili, inquietanti, artisticamente impeccabili. Ma attenzione: anche nel regno dei morti ci sono regole, agenzie di rappresentanza, manager nevrotici e gerarchie impietose. E il pubblico, si sa, è esigente.
John Hsu – regista già noto per il delirio distopico di Detention – torna con una commedia horror brillante, coloratissima, surreale e profondamente umana. Un film che è un ibrido tra The Good Place, Ghostbusters, Monsters & Co. e una critica spietata alla cultura dell’apparire, delle performance, della rincorsa disperata al riconoscimento. Ma lo fa con un’ironia tagliente, uno stile visivo che sembra disegnato con acquerelli digitali, e una scrittura che alterna momenti di ilarità a profonde riflessioni esistenziali.
La protagonista, una giovane fantasma interpretata da una magnetica Gingle Wang, muove i primi passi in questo strano mondo popolato da spettri frustrati, manager isterici e “celebrità del terrore” decadute che vivono del loro passato. Viene reclutata da un agente con il cuore tenero ma il portafoglio vuoto (un esilarante Chen Bolin), e viene affiancata da una diva stanca e cinica (Sandrine Pinna, perfetta nel ruolo), che la introduce ai meccanismi spietati della “Ghost Showbiz”.
Tutto è costruito attorno all’idea che anche da morti bisogna “funzionare”. Bisogna trovare la propria funzione, il proprio ruolo, il proprio talento spettrale per rimanere visibili. E visibilità, in questo contesto, significa letteralmente esistenza. La tua anima è in gioco, ogni giorno, ogni notte, davanti a un pubblico invisibile e a una giuria che ti può far evaporare per noia. È l’industria dell’intrattenimento post mortem. È l’inferno, in HD.
Ma dietro le risate e i set pop dai colori fluo si nasconde una riflessione molto più seria. Che cos’è il talento? Perché abbiamo bisogno di essere visti, riconosciuti, validati? E cosa succede quando non ci sentiamo più nessuno? Il film lavora a più livelli: è divertente, è surreale, è grottesco, ma è anche una potente allegoria sul burnout creativo, sulla depressione sociale, sull’identità svenduta per qualche like ultraterreno.
Tecnicamente, Dead Talents Society è un gioiello: fotografia brillante, un design dei personaggi affascinante, un montaggio frenetico ma mai confuso, e una colonna sonora che alterna brani originali di Luming Lu a momenti musicali sorprendenti come la struggente “Dead Talents Society” cantata da Joanna Wang, che diventa una sorta di inno straziante per tutti gli spiriti dimenticati.
I dialoghi sono brillanti, pieni di riferimenti metacinematografici, citazioni alla cultura pop e battute che funzionano anche in un contesto più colto: si passa dalla comicità slapstick alla riflessione heideggeriana in una battuta sola, senza perdere il ritmo. I personaggi sono ben scritti, tutti archetipi con sfumature inedite: il manager fallito ma pieno di empatia, la diva che ha smesso di credere in se stessa, la protagonista ingenua ma potente, capace di scoprire – attraverso la morte – il valore della propria unicità.
Alla fine, quello che resta è una sensazione strana. Ti sei divertito. Hai riso. Hai quasi pianto. Ma soprattutto ti sei chiesto: “Io, cosa lascerei dietro di me? Se fossi un fantasma, cosa userei per farmi ricordare?”. E in questa domanda si nasconde la lama affilata del film: non tanto un horror comico, quanto un’opera sul desiderio umano di lasciare una traccia, una vibrazione, un’impronta. Anche solo per dire “ci sono stato”.
John Hsu firma un film che è una boccata d’aria fresca nel panorama horror moderno, troppo spesso ingabbiato tra cliché e salti sulla sedia. Dead Talents Society è uno spirito libero, un’entità creativa che vaga tra i generi per costruirsi un’identità. E riesce dove tanti falliscono: a lasciarti qualcosa. Un’eco. Una presenza. Forse, la sua stessa anima.
