A BRAND NEW LIFE [SubITA]

Titolo originale: Yeo-haeng-ja
Paese di produzione: Corea del Sud, Francia
Anno: 2009
Durata: 92 min.
Genere: Drammatico
Regia: Ounie Lecomte

1975. Autunno in una piccola città della Corea del Sud. Jinhee ha 9 ed è in viaggio con suo padre. Non sa che la sua meta è un orfanotrofio in cui l’uomo la lascerà per iniziare una nuova vita. La bambina non si arrende, spera che lui ritorni, tenta la fuga ma è tutto vano. Non le resta che attendere una possibile adozione insieme a Sookhee, divenuta sua guida, e la sfortunata Yeshin.

Straziante, estrema e incommensurabilmente triste.
E’ così che si presenta agli occhi dello spettatore questa pellicola sud coreana, della rielaborazione di ciò che patì alla tenera età di appena nove anni la stessa regista, che a seguito del suo abbandono presso un orfanotrofio ritrovò un piccolo barlume di serenità solo a seguito dell’ accettazione della sua reale situazione, scendendo quasi a compromessi per riuscire e/o a provare a risalire una china condita da delle profonde e radicate sensazioni avvilenti e prive di ogni qualsivoglia briciola di speranza, confidando in una vita degna di essere vissuta. I drammi coreani hanno dimostrato negli anni di possedere un’ impronta e un’ totalmente autoritaria ogni qualvolta che si sono cimentati nella proposizione di temi tanto atroci quanto vigorosamente appartenenti ad un’ attualità quanto mai presente ed inarrestabile, saltellando e abbracciando temi e realtà che definire scomodi nella loro messa in scena, risulta quasi riduttivo.

Con una sceneggiatura della supervisione di Lee Chang-dong, regista che ha affiancato l’attività politica ricoprendo cariche ministeriali nel governo del suo paese, la regista sud coreana si cimenta nella proposizione in chiave romanzata di quella che è stata la parte più oscura della sua vita, mettendo in risalto le condizioni psichiche e labili che avvolgono gli stati d’ animo di tante piccole ed innocenti creature strappate agli affetti e ai calori familiari e costretti a vivere in un limbo rarefatto e pregno di solitudine e speranze, con l’ unico e radicato desiderio all’ interno del loro cuore di ricevere l’ amore tanto agognato che troppo prematuramente e in maniera forzata è stato loro privato, andando ad analizzare e mostrare quell’ “ecosistema” che verosimilmente tende a in tutte quelle strutture e centri adibiti all’ accoglienza degli orfani.
Con una colonna sonora pulsante che mette subito radici nello straziante e improvviso incipit del film, la regia si mostra subito decisa nella scelta dei temi e delle sensazioni che vogliono essere trasmesse, con una predilezione quanto mai marcata verso la negatività e lo sconforto, tanto aggressive e furiose da far piombare immediatamente lo spettatore in un vortice ansiolitico e nichilista fin da subito, mettendo i puntini sulle “i” disseminate lungo tutto il film, riuscendo nell’ intento di far provare le stesse sensazioni tanto tristi quanto scontate patite dalla piccola protagonista, tra l’ altro strepitosa, portentosa e indimenticabile…la quale da sola vale tutta la visione di cotanta sofferenza.
Sposando una fotografia a tratti sporca e semplicistica tinta di un giallo sopito e amorfo, le vicissitudini proposte prendono corpo, lasciando ben poco allo spettatore se non un profondo solco sulle proprie guancie, scavato da corpose e infermabili lacrime che incessantemente gli terranno compagnia, a dimostrazione di una verità e di una condizione socio-esistenziale che non meriterebbe di essere provata da nessun essere umano, ma che purtroppo con costanza e ferocia abbraccia la quotidianità della società mondiale.
1975. Jinhee è una bambina molto piccola, il cui mondo è rappresentato interamente dalla figura del padre, figura verso la quale viene proposta una purissima e incantevole visione dell’ amore incondizionato. Dopo una spensierata giornata all’ insegna di compere, tra abiti e scarpe, passando per una squisitissima torta, i due si mettono in viaggio su di un bus per arrivare ad una struttura isolata e colma di una profonda tristezza emanata al solo sguardo : un’ orfanotrofio.

Dopo un breve colloquio con le suore predisposte per l ‘accoglienza e una rapida presentazione con il Direttore della struttura, le di Jinhee e di suo padre si separano, condite da un’ ultimo e disorientato sguardo che i due si lanciano, pregno di dubbi e confusione da parte della bambina, che dopo essere stata presentata ai suoi nuovi compagni di vita, rifiutando l’ idea di essere stata abbandonata dall’ unica persona che per lei abbia contato qualcosa in tutta la sua vita, inizierà un lungo periodo di digiuno e di depressione.
Solo l’ accettazione del suo attuale status (tra l’ altro mai pienamente condiviso , bensì altalenante), le permetterà di tirare avanti, all’ interno di un contesto che per quanto possibile vorrebbe donarle affetto e sicurezza, ma che in contrapposizione con il suo stato d’ animo in continuo subbuglio la farà sprofondare in un’ abisso senza luce…
Neanche le poche amicizie che Jinhee riuscirà ad instaurare le permetteranno una ripresa psicologica sostanziale, visto il continuo e doveroso processo di adozione che in maniera autoritaria le porterà incessantemente via le sicurezze e i rapporti maturati tanto faticosamente fino a quel momento….Jinhee è sola, persa in quella continua speranza che un giorno suo padre torni a riprenderla, ma fin troppo prematuramente, la bambina dovrà capire quanto triste e diversa sia la vita che l’ attende….
Una discesa nei meandri più oscuri e reconditi delle innocenti menti di indifese creature rappresenta la colonna portante di questo dramma infinitamente disturbante e cattivo, che con una messa in scena assolutamente credibile, di un soggetto equamente straziante porta ad un’ analisi doverosa e ad una (possibile) immedesimazione negli eventi trasposti, che gioco forza faranno breccia nel cuore di chiunque voglia cimentarsi in una visione di questo tipo, logorandolo in profondità, lasciando un segno indelebile del suo passaggio, abbandonando lo spettatore con una sinistra e desolante sensazione di angoscia e sconforto, che per quanto il finale del film provi ad addolcire, nulla potrà impedire l’ esplosione di una bomba emozionale tanto ben concepita, innescata come un treno in corsa dopo i soli sette dannatissimi minuti che seguono i titoli di testa…D-E-V-A-S-T-A-N-T-E!

Guarda anche  MACUNAIMA (SubITA)

Giovanni SavaStark

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By Anam

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