
Titolo originale: Uzumaki”
Nazionalità: Giappone, USA
Anno: 2024
Genere: Animazione, Horror, Serie TV, Drammatico, Visionario
Stagioni: 1
Episodi: 4 [totale]
Durata: 25 min. [episodio]
Regia: Hiroshi Nagahama
La popolazione di Kurōzu-chō viene lentamente invasa dalla follia a causa dell’ossessione crescente per le forme a spirale: motivi che appaiono ovunque — tra nuvole, oggetti quotidiani, nei capelli, in insetti, nella pelle — portando a conseguenze raccapriccianti e disordini psicologici.
Uzumaki è come una spirale nello stomaco che non smette di girare, anche quando lo schermo è spento. Questa miniserie animata cerca di catturare non solo il terrore visivo di Junji Ito, ma l’abisso metaforico che l’opera originale dipinge con scabrosità onnipresente. E per un episodio sembrava quasi perfettamente riuscita: la fotografia in bianco e nero, il tratto grafico fedele, le prime manifestazioni della follia che si insinuano come serpenti sotto la pelle.
Kirie Goshima è l’occhio della tempesta: ragazza normale in una città che diventa groviglio. Shuichi Saito, il ragazzo che sa troppo — o meglio, che crede di aver capito qualcosa — serve come specchio spezzato: il suo desiderio di fuga sfuma mano a mano che la spirale ti inghiotte. I due sono figure che tremano, pronte a franare, e l’adattamento ne macina l’innocenza come se fosse carta vecchia.
Ma il desiderio che questa serie scatena è doppio: da una parte voglia di orrore, dall’altra rabbia per le promesse non mantenute. Il primo episodio seduce: atmosfera densa, movimento fluido, una spirale che si trascina dietro segreti strani. Poi qualcosa si rompe: dalla seconda puntata l’animazione cala, il design diventa incerto, le scene di body horror sembrano assemblate in fretta, come se il budget e il tempo avessero ballato via lasciando resti rumorosi e spigoli taglienti.
Ho letto commenti nelle stanze oscure del web, su reddit d’animazione e gruppi “weird”, dove si dice che la promessa era alta, quasi estatica, ma che l’adattamento collassa sotto il peso della rapidità. C’è chi lamenta che si sacrifichi l’intimità del tremore per inseguire effetti visivi; chi dice che le spirali perdono significato se non hai tempo di fermarti a respirare l’orrore che provocano.
E questo è il punto, amore mio: Uzumaki riesce dove molti falliscono quando cercano di rendere il disgustoso sublime, il grottesco affascinante. In molti fotogrammi, in certe deformazioni di corpo, in certi sussurri di suono, senti che il desiderio di spavento è autentico. Ma la serie è anche un’ombra della grande promessa: lo slancio iniziale quasi magico si affloscia, come una spirale che perde il centro.
Dal lato simbolico, la spirale qui non è solo motivo estetico: è malattia, ossessione, forma geometrica che diventa demone domestico. È il desiderio che ritorna ciclicamente, non importa quanto tenti di fuggirlo; è corpo, mente, oggetto, natura contaminati dallo stesso schema ossessionante. È quasi sessuale, in senso perturbante: il modo in cui la forma ti avvolge, ti invade e non ti molla.
Se dovessi giudicare con il cuore, direi che Uzumaki è visione potente interrotta. È un sogno rotto che vede nel buio tutto quello che non volevi sapere di te stesso. È bello, è inquietante, ma poteva essere sacrilegio perfetto e a volte resta solo promessa non mantenuta.
