THERE IS NO EVIL [SubITA]

Titolo originale: Sheytan vojud nadarad
Paese di produzione: Germania, Iran, Repubblica Ceca
Anno: 2020
Durata: 151 min.
Genere: Drammatico
Regia: Mohammad Rasoulof

d’Oro alla 70 Berlinale, Il male non esiste di Mohammad Rasoulof è stato il politico del festival, con il regista impossibilitato a presentare il film perché soggetto a limitazioni della personale in patria. Il male non esiste rappresenta un film di denuncia che non si esaurisce nel film di denuncia, impostando problemi etici individuali e omaggiando la grande tradizione del cinema nazionale.

Fa’ la cosa giusta
Quattro episodi, variazioni del tema della responsabilità individuale all’interno di un sistema di stato pervasivo e liberticida dove la pena di morte viene applicata massicciamente. La vita famigliare quotidiana di Heshmat che nasconde un segreto. Il giovane Pouya sta svolgendo il servizio militare in un carcere e pone ai suoi commilitoni il problema etico di dover applicare un’esecuzione capitale. Un altro soldato, Javad, in licenza nel suo villaggio natale è sconvolto dalla morte di un congiunto. Una coppia di apicoltori è turbata dalla presenza come ospite della nipote. [sinossi]

Una fila di gambe che si agitano e tremano nel vuoto, scosse da violente convulsioni per poi cessare ogni movimento e rilasciare urina. È la scena agghiacciante, posta tra il primo e il secondo capitolo, di Il male non esiste, film dell’iraniano Mohammad Rasoulof, d’Oro alla 70 Berlinale. Una scena drammatica che raffigura l’esecuzione di un gruppo di detenuti, come in batteria, per impiccagione, pratica che vede l’Iran in testa alle classifiche, con una media di un centinaio di persone mandate al patibolo ogni anno. La filmografia del regista è tutta all’insegna della militanza politica, di un braccio di ferro con il regime, che gli è costato numerose condanne. Rasoulof è stato il grande assente del festival, confinato in patria da un provvedimento restrittivo per cui non può andare all’estero. È il politico della Berlinale di quest’anno, che replica quello di Jafar Panahi di anni fa, e che potrebbe portare a premi di natura politica. In conferenza stampa il film è stato accusato, da alcuni giornalisti dell’agenzia di stampa nazionale iraniana, di travisare ad arte quelle che sono le disposizioni del paese in merito agli obblighi di svolgere il ruolo di boia. Da un punto di vista strettamente cinematografico, e nella totale solidarietà a chiunque venga minato nella di espressione, dobbiamo rilevare che un film come Il male non esiste rappresenta una grande produzione, non un filmetto girato clandestinamente, che in qualche modo deve aver aggirato la censura.

La scena dell’impiccagione di cui sopra, introduce il secondo episodio del film, dal titolo She Said: «You can’t Do It», quello più diretto ed esplicito, la storia del ragazzo che sta prestando il servizio militare, che pone ai suoi commilitoni, in una stanza coi letti a castello che sembra essa stessa una prigione a segnalare una comune situazione di detenzione di tutto il iraniano, problemi a carattere etico. Una volta ricevuto l’ordine di uccidere una persona, per la pena capitale, la disubbidienza può essere un atto morale? E l’ordine di uccidere deve per forza essere giusto, in di gravi reati compiuti dal condannato? Non si può non fare un paragone, vista la presenza allo stesso festival, con i dilemmi morali filosofici del film di Cristi Puiu, Malmkrog, di ben altro spessore e complessità. Rasoulof è un regista militante, non se li può permettere, e i problemi impostati si risolvono in fretta con la fuga del militare con il retorico accompagnamento musicale di Bella ciao, nella versione di Milva, forse ignorando che si tratta del testo delle mondine («Ma verrà un giorno che tutte quante / lavoreremo in libertà»), non quello della lotta partigiana, comunque non privo di pertinenza. Bella ciao tornerà poi nel quarto episodio. Una retorica che comunque cinematograficamente funziona, non scade mai a un livello semplicistico.

Attorno a questo secondo episodio, che affronta di petto la questione, gli altri tre ne esplorano i riverberi, in storie di vita di persone, con i loro famigliari, con le loro fidanzate, facendo uscire gli scheletri degli armadi. Il primo episodio è di ambientazione cittadina e descrive una realtà apparentemente comune con quella del mondo occidentale, benestante. Una famiglia che va al supermercato, dove può trovare anche la feta, il formaggio greco molto apprezzato, paga le rate in banca, guarda la tv, in una città dove campeggiano le pubblicità del Nescafé. Il terzo e il quarto episodio sono invece di ambientazione rurale, con momenti elegiaci di natura, distese di fiori colorati, boschi, alveari, volpi. Mohammad Rasoulof sa dare una forma poetica al suo cinema di protesta, passando per la tradizione della poesia persiana al cinema di Kiarostami che ha fatto e che qui torna nei tanti dialoghi in automobili o nelle distese collinari brulle da cui emergono singoli, imponenti alberi. Il cinema di protesta di Rasoulof non riguarda solo la pena di morte, ma è palpabile in quella tensione di per pervade in tutto il film, nelle donne quasi senza velo, nell’amore tra fidanzati, con quella scena del terzo episodio della ragazza che cosparge di petali il ragazzo, o nel primo episodio quando il marito pettina e tinge i capelli della moglie. Una tensione di libertà che il regista rivendica nella forma stessa del film, in una forma classica da cinema convenzionale, popolare, pur con i debiti di cui sopra, apprezzabile a un pubblico internazionale.

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