THE BAND’S VISIT [SubITA] 🇮🇱

Titolo originale: Bikur Ha-Tizmoret
Nazionalità: Francia, Israele, USA
Anno: 2007
Genere: Commedia, Drammatico
Durata: 89 min.
Regia: Eran Kolirin

Invitata in Israele per un concerto d’inaugurazione, una banda egiziana capitanata dal burbero Tewfiq (Sasson Gabai) finisce per errore in una desolata cittadina sperduta nel deserto. Impossibilitati a ripartire nell’immediato, i membri vengono accolti dalla bella Dina (Ronit Elkabetz): l’inconveniente porterà, forse, una nuova consapevolezza.

La cosa che forse per prima si coglie dopo aver visto La banda, è l’essere “fuori” della storia: le vicende dei personaggi che Kolirin mette in campo non sono raccontate nel film, che fissa piuttosto delle apparizioni momentanee, sono tutte al contrario nel “prima” e nel “dopo”. La banda restituisce allora la dimensione sospesa di un attimo senza tempo, di un incontro quasi metafisico e più che sul classico impianto narrativo inizio-svolgimento-conclusione, sembra strutturarsi sulla forma dell’inciso o della parentesi. Kolirin si limita a raccontarci una sola notte, in cui le vite di alcuni uomini e donne si incrociano per poi separarsi e continuare a scorrere autonome: non succede quasi nulla, come nelle parentesi appunto. Eppure proprio in questa particolare condizione di pausa, di parentesi dalla rigida quotidianità, dal tempo e dagli spazi, scopriamo vite, volti, dolori: persone.
Il tema di sottofondo, e in un certo senso conduttore, è il viaggio, di cui quella che il regista ci mostra è solo una tappa imprevista. Il gruppo di musicisti è calato nella dimensione di incertezza, scoperta dell’Altro e soprattutto tensione verso uno scopo – la meta – propria di ogni viaggio; dimensione che, com’è ovvio, viene vissuta da ciascuno dei musicisti in maniera diversa: dalla passiva accettazione dello status quo al rigetto di quello che è percepito come un inutile, dal sogno di comando alla consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo. Quest’ultimo atteggiamento, riconoscibile nella figura del direttore della banda, che porta come un fuoco sacro la “sua” musica, vivendo il viaggio come un’alta missione, ci permette di penetrare il nucleo profondo del film. A un certo punto il direttore, parlando a cena con la sua bella ospite, le dice che la musica non interessa più la gente, che il mondo non è più adatto. In questo senso La banda è forse lo sforzo di alcuni uomini di portare la musica – e più in generale l’arte – nei paesi più piccoli e abbandonati, perché continui a esistere qualcosa di autentico, di vivo, qualcosa che contrasti in maniera netta con una società oppressa dall’indifferenza/avversione per tutto ciò che non è produttivo o economicamente funzionale. La musica rappresenta lo sfogo di un’umanità repressa che tra le note finalmente piange, ride, ritrova se stessa e soprattutto parla: è così che la musica si fa veicolo di comunicazione, di dialogo e di pace nel suo essere libera e “inutile” espressione dell’uomo: al suono della fanfara si consuma l’incontro impossibile tra due culture, l’ebraica e la musulmana, che sottovoce si confessano le loro storie, i loro segreti. Con grazia il regista costruisce la seconda parte del film con tre situazioni di dialogo, simboliche ciascuna del dolore del passato (il direttore e la donna), dell’angoscia del presente (lo pseudo compositore e la famiglia) e della speranza del futuro (il playboy e il ragazzo impacciato) attraverso personaggi semplici e forti, delineati con pochi, ma densi, elementi. In tutti e tre i casi è la musica che mette in moto quei personaggi permettendogli di ritrovare se stessi. Kolirin rifugge dall’affermare il valore consolatorio della musica – si veda l’epilogo della seconda situazione – piuttosto mette in luce il suo essere di movimento, fonte di salvezza, dove la salvezza si consuma anche con la sofferente presa di coscienza della propria crisi.
Il tutto è reso con una costruzione narrativa lineare e priva di lungaggini, che contribuisce a creare uno stile poetico caratterizzato da una grande regolarità della messa in quadro, come del montaggio e dei movimenti di macchina – tuttavia mai veramente notevoli – e soprattutto dalla sintesi e dalla densità umana ed emotiva che sprigiona dalle immagini. Davvero mirabile in questo senso la scena del ballo sulla pista di pattinaggio: un piano sequenza frontale su di un impacciato (e pilotato) corteggiamento. Ottimi tutti gli attori, decisivi per una completa riuscita del film.

Guarda anche  MANSHIN: TEN THOUSAND SPIRITS [SubITA]

Recensione: spietati.it

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By Anam

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