THE APPLE [SubENG]

Titolo originale: The Apple
Paese di produzione: USA
Anno: 1980
Durata: 90 min.
Genere: Musicale, Fantascienza, Visionario
Regia: Menahem Golan

Quando Menahem Golan incontrò Dio, Adamo, Eva e SATANA: “The Apple” (1980)

Menahem Golan è responsabile di una fetta enorme dell’immaginario action anni ’80. Grazie alla casa di produzione co-gestita insieme al cugino Yoram Globus, la gloriosa Cannon, ha incarnato quello che oggi possiamo riconoscere e definire come il più classico spirito old school fatto di eroi silenziosi e letali e vendette su piccola e larga scala. Come regista, Golan ha riservato per sé i progetti non necessariamente migliori, ma sicuramente più ambiziosi. Iniziamo oggi una breve rassegna delle sue opere più rappresentative, partendo da un’eccezione non esattamente da combattimento, ma che perlomeno contiene Satana…

Dire che The Apple è un brutto film è come meravigliarsi che la carne lasciata sul tavolo di cucina per tre settimane abbia fatto i vermi.

Qui e ora, il livello di infamia culturale accumulata in trent’anni precede The Apple agli occhi del mondo intero, tanto da averlo trasformato in una nota a pie’ di pagina per il decennio che contribuì a inaugurare; «il noto fiasco critico e commerciale The Apple», «Il Film Peggiore degli Anni ’80 The Apple», e così via. (A parte che un film distribuito nel 1980 è chiaramente il fanalino di coda del decennio che lo precede, ok.) Io ho poca simpatia per chi frigna di fronte a cose che gli arrivano con sopra l’etichetta «attenzione: fa schifo», ma la dichiarata bizzarria di alcuni oggetti può essere tale da spingere un uomo o una donna a darci un’occhiata, pur sapendo che in fondo all’arcobaleno non c’è nessun tesoro nascosto.

Ad esempio: Menahem Golan ha scritto e diretto un musical -religioso.

Prima ci facciamo una breve intro sul genere, poi il film-film. Via! Alcune categorie base del musical, genere che io amo, e pure tanto, ma talmente tanto che sono stata seduta davanti ad Across the Universe dall’inizio alla fine (ci ho messo cinque ore a finirlo e ho portato a casa un numero record di offese al Nazareno, ma ce l’ho fatta):

– Backstage musical, dove il protagonista deve mettere in piedi uno spettacolo / sfondare come cantante o ballerino (esempi: Cantando sotto la pioggia, Hairspray, A Chorus Line, Purple Rain)

– Musical “puro”, dove la trama non ha a che fare con la danza / il canto, ma la storia viene portata avanti con canzoni e balletti (esempi: Evita, Sweeney Todd, la versione teatrale di Legally Blonde)

– Stealth musical, film che non trovereste sullo scaffale “musical”, ma sticazzi, lo sono: le canzoni trainano l’azione molto più delle svolte narrative, e la maggior parte sono pure backstage musical mascherati da commedie/drammi (Flashdance = saldatrice vuole ballare; Footloose = ragazzo organizza ballo; Dirty Dancing = ragazza ama ballerino, etc.)

Ultima distinzione: ci sono musical originali (trame inedite o tratte da libri/film, canzoni scritte apposta per lo spettacolo; Wicked, Chicago, Nine) e ci sono i cosiddetti jukebox musical (trame scritte apposta per lo spettacolo, canzoni già conosciute: The Blues Brothers, Rock of Ages, Jersey Boys).

Via!

Il signor Satana era mio padre, tu chiamami pure Satana.

Le ambizioni di The Apple:

1. vuole ripetere il successo di Grease adattando per il cinema uno spettacolo teatrale (mai andato in scena) su Dio e Satana

2. l’adattamento è un backstage musical con finale apocalittico

3. le canzoni sono tutte originali

4. (…)

La cosa a cui pensavo più spesso mentre guardavo The Apple è la scena di Mr. Hula Hoop con Tim Robbins che fa roteare l’hula hoop e ripete a tutti quanti: «you know! for kids!».

La trama:

Corre l’anno 1994: l’industria musicale ha conquistato il mondo con un miscuglio tra metodi da Terzo Reich e acquisti obbligatori di dischi e merchandising, e tutto viene manovrato da una sola casa discografica, la BIM. Durante uno spettacolo in mondovisione per scoprire nuovi talenti si esibiscono due cantanti-chitarristi canadesi, Alphie (lui) e Bibi (lei), autori di una ballata romantica bruttissima, Universal Melody (lei somiglia molto a Romina Power negli anni ’70, tra l’altro). Alphie e Bibi piacciono al pubblico ma perdono il concorso per losche manovre dietro le quinte. Vengono comunque messi sotto contratto dalla BIM, per ordine del suo presidente Mr. Boogalow, un uomo a cui a metà film spunterà un corno caprino in fronte. (Non prima di aver cantato How to be a Master.) Ma quando arriva il momento di firmare il contratto Alphie ha terribili allucinazioni: c’è il terremoto, il giorno diventa notte, si vedono squarci infernali, dannati che ballano in catene, Alphie e Bibi vestiti da Adamo ed Eva mentre un famoso cantante della BIM invita Bibi ad assaggiare “l’antipasto speciale della casa”, una gigantesca mela. A questo punto Alphie si spaventa e se ne va, Bibi invece firma il contratto.

Mi sto limitando a trascrivere gli eventi, tranquilli: The Apple è il capslock della Genesi.

Da qui, salvo il finale, il film diventa un noioso ragazzo perde ragazza / ragazzo ritrova ragazza: Alphie piange, scrive canzoni romantiche ma l’industria lo rifiuta, la sua padrona di casa ebrea dice «you kids today are all meshuggeneh»; Bibi è facile preda della decadenza di casa BIM, viene fatta diventare una star con un nuovo look e canzoni (sempre bruttissime) che inneggiano al consumismo americano («SPEED! SPEED! SPEED!»), ma poi lei se ne pente e piange. E l’amore trionfa: Bibi fugge dalla BIM, corre da Alphie, che si è unito a una colonia di hippies vecchi e giovani scampati al nuovo ordine mondiale, e si rimettono insieme. Ed ecco gli ultimi due minuti di film: polizia e dirigenti della BIM irrompono nel parco dove vivono gli hippies e cercano di arrestare Bibi; gli hippies decidono di farsi arrestare tutti insieme; al che una macchina volante e un uomo vestito di bianco calano dal cielo. L’uomo in bianco invita gli hippies a seguirlo. E tutti camminano, e poi salgono in Cielo. Segue scambio di battutine tra Dio e Satana, con Dio che annuncia che si prende le anime degli hippies e andrà a «ricominciare da un’altra parte», magari su un altro pianeta dove Satana non c’è.

Titoli di coda.

Dire che The Apple è un brutto film è come farsi tagliare una gamba perché su c’è scritto che a volte la gamba ricresce naturalmente.

L’estetica di The Apple in quattro punti:

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1. vale il principio dello smash and grab: dettagli, facce, trucchi, vestiti, scenografie, tutto viene preso da altri film musicali allora recenti (da Rocky Horror Picture Show a Jesus Christ Superstar al Fantasma del Palcoscenico, di cui The Apple è la versione molto meno figa, e non è che l’originale fosse Cabaret, poi), senza badare se queste cose prese da altri film stiano andando a creare un insieme coerente, o almeno piacevole, o almeno divertente.

2. a questo ci aggiungo il fastidio che mi ha provocato vedere alcuni tratti dell’immaginario gay del periodo cooptati nel modo più pigro e usati per caratterizzare la decadenza / il Male / SATANA: si va dai motociclisti forzuti vestiti di pelle alle drag queen con la voce roca, dalle donne androgino-palestrate ai parrucchieri biondini che ancheggiano in negozio. (Non temete, ce n’è anche per i negri, tutti molto antipatici e tutti servi del Maligno salvo redenzioni dell’undicesima ora.)

Non posso sapere se Menahem Golan avesse un problema esplicito con uomini e donne gay (o con le razze più scure della sua): se qualcuno ha elementi per confermare o smentire la cosa, si faccia avanti. (Considerando “Over The Top”, del resto.)

3. C’è uno sforzo per assomigliare a un film e nascondere i propri limiti, ammesso che i limiti fossero presenti ai realizzatori: ogni tanto ci sono persino dei dolly fatti bene, e i movimenti di macchina sono i più comuni al linguaggio dei film del periodo.

4. E’ ambientato nell’America del futuro ed è girato in Germania, quindi in quasi tutti gli sfondi si vedono i palazzi della periferia tedesca fine anni ’70, le camionette della polizia tedesca sono camuffate da “polizia del futuro” con dei palloncini rosa sul tetto, e a un certo punto Bibi prende la metropolitana di Berlino.

Dire che The Apple è un brutto film è come ascoltare una cover di «Hopelessly Devoted To You» suonata col triangolo e poi lamentarsi perché non si sentono bene i bassi.

but you say he’s just a friend but you say he’s just a friend
but you say he’s just a friend
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La sostanza di The Apple:

Menahem Golan voleva avere un Grease tutto suo. L’ha detto lui.

Problema: Grease, come molti, molti musical di successo dagli anni ’70 in poi, era una commedia.

Grease era costruito su una storia leggera (scazzi tra liceali con lieto fine per tutti), e metà delle canzoni erano la parodia dei personaggi o delle situazioni in cui venivano cantate (Beauty School Drop Out, in cui un “angelo custode degli adolescenti” scende dal cielo e consiglia a una ragazza di finire le superiori se non vuole diventare una parrucchiera specializzata in mignotte.) Che poi agli attori venisse chiesto di fare la faccia seria è una questione di indicazioni di regia, non di fraintendimenti sul film che veniva girato. E poi: le canzoni di Grease si appoggiavano tanto sugli stili del periodo in cui il musical era ambientato, e la storia in sé era un repertorio di situazioni “del periodo”: i primi anni ’60 per il pubblico fine anni ’70 erano un passato quasi immaginario, ma erano sempre “il passato” e se ne poteva ridere. Lo spettatore veniva messo a parte dello scherzo.

The Apple è fatto per essere preso sul serio, è il film a chiedertelo. Tutto in The Apple vuole essere preso alla lettera, ambizioni morali comprese (anche prima che arrivi Dio con la fine del mondo, questo è un melodramma sul successo che rovina l’amore / il consumismo che uccide la creatività e il libero pensiero – cfr. Mahogany con Diana Ross). Soprattutto, The Apple è il tentativo di ottenere un successo di massa senza basarsi su una proprietà cine-letteraria e/o un mondo musicale già noto o almeno familiare al pubblico di riferimento. Le canzoni (a parte fare schifo, tutte) sono un miscuglio di “cosa ascoltano i giovani d’oggi”, che arriva in ritardo rispetto a quasi tutti i generi sperimentati (1980 = disco sucks), tanto quanto l’elemento “futuro” è svoltato con “elaborare male la moda del presente e aggiungerci fogli di carta argentata”. Non essendo una commedia né la parodia di nulla, diventa una roba che si guarda a occhi sbarrati.

Mahogany è un film che separa gli uomini dai fanciulli.

Ora, naturalmente, io potrei uccidere per un documentario o un libro-inchiesta che racconti cosa stava succedendo durante la lavorazione di The Apple. Era impossibile far ragionare Golan? Cast e troupe erano stati tutti contagiati dal suo entusiasmo per un’opera ambiziosissima? Si minacciavano licenziamenti? Sul set si ascoltava mai La cavalcata delle Valchirie? Nessuno ha rotto il vetro dell’allarme antincendio gridando «fermate questa pazzia»? Nessuno?

Col tempo, il fallimento del film – che fu pesante e mai venne ripagato dal presunto status di “cult” alla Troll 2 – si dimostrò preziosissimo per Menahem Golan, almeno come produttore. Lui capì che se voleva fare “grossi film” doveva puntare su altri generi e altri talenti, e se voleva fare film “per i giovani” gli conveniva girarli in fretta, farli costare poco e attaccarsi alle mode del momento, imbastendo storie molto semplici in termini di conflitti e argomenti (breakdance = bene / speculatori edilizi = male; giovani = bene / vicini di casa che protestano per il rumore = male; la fica = bene / la deforestazione dell’Amazzonia = male). Golan avrebbe quindi prodotto una lunga serie di instant movie giovanili, quasi sempre bruttini, sempre dotati di poco staying power, ma si sarebbe messo in meno imbarazzo di così.

E non è forse questo che vogliamo tutti?

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By Anam

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