CHEKIST [SubITA]

Titolo originale: Chekist
Paese di produzione: Russia, Francia
Anno: 1992
Durata: 89 min.
Genere: Drammatico
Regia: Aleksandr Rogozhkin

Siamo negli anni successivi alla rivoluzione che ha portato i bolscevichi al potere. Sroubov è un anonimo funzionario incaricato di eliminare i nemici del popolo: preti, nobili, capi anticomunisti, intellettuali. L’ossessiva ripetitività delle esecuzioni lo porterà alla follia. 

Piccola avvertenza: il manifesto originale di questo film è terribilmente esplicito anche sulle che si andranno a guardare.

Necessaria una breve introduzione storica. Questo film parla di ciò che fu e fece la Cheka, la polizia segreta fondata da Lenin immediatamente dopo la Rivoluzione Bolscevica con compiti ideologici antirivoluzionari, che diventarono di epurare intellettuali, aristocratici, ebrei, chiunque potesse fomentare controrivoluzioni a qualsiasi titolo. La Cheka si occupava anche di sedare ribellioni di operai, dei Gulag, di forzare i piani alimentari… era il braccio esecutivo, armato e spietato della rivoluzione. Temutissima ovviamente. I suoi membri venivano chiamati Chekist. Il KGB è la sua ultima “versione” e la paga ai dipendenti venne mantenuta il 20 del mese, proprio come per i chekist dei quali si onorano di essere eredi. vladimiR putiN, che maschera la sua con una finta democrazia, viene chiamato dai suoi oppositori “Chekista”, a dimostrazione di quanto ancora in Russia il ricordo di quella polizia segreta, forse la più sanguinaria mai vista, sia vivo e figurativo.
Questo dovrebbe bastare a rendere “The Chekist” una visione obbligatoria per quanto molto dura. Film di genere storico che ho dovuto archiviare anche come horror.

Siamo nel 1918 circa, in Russia.
Un’allucinante “catena di montaggio” per esecuzioni. Se non fosse per quel che avviene persino grottesca. Dai rastrellamenti le persone vengono raccolte nelle celle sotterranee di un vecchio edificio piene di topi. Dopo dei processi farsa nei quali la sentenza è quasi sempre la morte, vengo chiamati a gruppi di 5, fatti spogliare completamente nudi, faccia al muro davanti ad altrettante porte di legno, e freddati a pistola da 5 chekist. I corpi caricati su un carrello vengono issati con corde all’esterno dove un camion li attende per caricarli e portarli, si presume, in qualche fossa comune. Fine del lavoro. In un’ora e mezza di questi cicli se ne vedranno da perdere il conto e la cosa forzerà ancora più lo spettatore ad immergersi in quell’opera disumana. A sparare e a fare ogni altro singolo compito sono sempre gli stessi…

A vigilare sull’andamento dei lavori è Il Chekist, capo della divisione, Srubov, un filosofo a suo dire. Trova modo per giustificare moralmente la barbarie di cui è capo supremo, nella quale finiscono vittime persone che ben conosce, persino suoi cari o dovrebbero essere tali. Tutto quanto avviene all’esterno del lager è irreale, nessuno o quasi, al pari di Srubov, riesce a parlare senza intonare slogan o frasi di regime, anche perché chi non ci riesce diventa immediatamente sospetto e poi si sa come va a finire.

Dopo un po’ il film ti soffoca, figuriamoci chi ha vissuto veramente quei momenti! Quella fabbrica della morte dove tutti agiscono come se fabbricassero ti scuote. Fabbrica ed esterni, fabbrica ed esterni, è un continuo. La ripetizione meccanica delle atrocità viene resa tremendamente, le scene sono tutte identiche nella sostanza e diverse nelle vittime, ed è impossibile abituarcisi. Possibile che nessuno s’incrinerà? Che a nessuno venga un moto di umana compassione? Qualcosa succederà, non vi rovino però il finale, significativo anche se ritengo essere la sola cosa di fantasia del film.

Nessuno può essere più malvagio di chi si crede nel giusto.
L’ho sempre pensato e qua trova una conferma storica ed anche artistica, mi si permetta il termine (il film ha una cura notevole che si apprezza in particolare nel montaggio delle scene alla fabbrica). Anche nei film i nazisti e i fascisti, soprattutto i secondi, raramente mi sono apparsi particolarmente convinti e motivati, l’idea di base che hanno e avevano è debole, non si regge se non sulla perpetuazione della violenza e dell’odio verso qualcuno, come un corpo su una gamba sola. Questi esecutori invece non avevano bisogno di bere come le SS nei lager per fare quel che facevano, stavano portando avanti un compito ingrato ma necessario a loro modo di vedere e l’ideologia comunista, di gran lunga più ricca e popolare di quella nazista, si regge da sé.

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La ripetizione meccanica stigmatizza ogni gesto, svuotandolo.
Fondamentale era mantenere il ritmo, non perdersi in inutili discorsi, non permettere ai condannati di esprimersi in alcun modo. Emblematico un momento in cui è lo stesso Srubov a sparare a una donna che nuda di fronte al plotone, con dolcezza e senza odio, proclama la sua voglia di vivere. Straziante. Il plotone esita, non il loro capo che la uccide senza perdere tempo. Il significato supera l’esecuzione in sé, la donna stava insinuando il dubbio e stava facendo perdere il ritmo. Un rischio. Anche gli interrogatori, brevi, dei rastrellati erano scanditi da una clessidra. Guai se durava più di una sabbia. Al termine del tempo l’interrogatorio era finito in ogni caso.
La ripetizione continua è un rischio che si corre anche nella vita di ogni giorno, può capitare che risvegliarsi dal torpore che crea sia traumatico, capita persino che ti accorgi di essere “poco umano” in qualcosa ma non te ne rendevi conto. In questo caso era estremamente funzionale e voluta.

Venne presentato a Cannes nel 1992 nella sezione “Un Certain Regard”, senza alcun riconoscimento. Ad oggi non ha ancora una distribuzione ufficiale. Fin troppo facile capirne le ragioni.
Per me, per quanto veramente lo sconsiglio ad animi suscettibili, è un film da Olimpo.

robydickfilms.blogspot.com

 

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By Anam

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