MADONNA CHE SILENZIO C’È STASERA

Titolo originale: Madonna che silenzio c’è stasera
Paese di produzione: Italia
Anno: 1982
Durata: 90 min.
Genere: Commedia, Grottesco
Regia: Maurizio Ponzi

Francesco è un giovane pratese, diviso tra l’affetto possessivo della madre e il desiderio di trovare un lavoro. Parte alla ricerca in un’occupazione ma la sua giornata per le vie di Prato gli frutta solo incontri bislacchi. Parziale consolazione la telefonata serale di Maria, la fidanzata con cui aveva avuto qualche malinteso.

Tra i grandi e ingiusti dimenticati dalla memoria cinematografica nazionale, spicca un autore- della nostra storia recente che forse più di tutti ha subito una feroce collettiva. Si tratta di Francesco Nuti, tanto idolatrato dal pubblico di tutta Italia lungo gli anni ’80, quanto adesso raramente ricordato sia dal pubblico, sia dalla critica, sia da tv e rassegne. Sempre meno frequenti sono infatti i passaggi-tv dei suoi film, così come nessuno si è mai preoccupato fino a questo momento di proporre una retrospettiva globale o un serio studio sul suo cinema. Si tratta probabilmente anche di un deplorevole imbarazzo istituzionale, viste le drammatiche vicissitudini che purtroppo hanno caratterizzato gli ultimi quindici anni dell’autore. In Italia e per la sua concezione di spettacolo, niente è più rimosso della malattia, salvo poi recuperarla se ben pettinata per pessimi contenitori televisivi basati sullo sfruttamento del dolore privato (i due ultimi passaggi pubblici di Nuti in tv hanno avuto luogo in programmi di Giancarlo Magalli e Barbara D’Urso).

In tal senso, la serata dedicata alla prima uscita assoluta di Madonna che silenzio c’è stasera in home video, che ha avuto luogo lunedì 5 maggio al cinema Odeon di Firenze, si è svolta secondo un ammirevole registro, diametralmente opposto, all’insegna della sobrietà e della sincera emozione. Francesco Nuti è stato accolto da una lunghissima ovazione, e successivamente suo fratello Giovanni ha letto una lettera scritta dall’autore in cui prendeva forma un’intensa rivendicazione di esistenza e di creatività. Io sono ancora qui, scrive Francesco Nuti, e voglio ancora fare film. Il suo ultimo progetto, infatti, che doveva entrare in produzione ancor prima della sua malattia, è il mai realizzato Olga e i fratellastri Billi, opera a cui Nuti continua a pensare a distanza di più di dieci anni. Al cinema Odeon ha preso forma un rinnovato appello ai produttori; “tirate fuori le palle” scrive Nuti, e finanziate il mio film. A ben vedere, si tratta di un ennesimo capitolo della lunga diatriba tra Nuti e la classe dei produttori. In qualche modo, gli inizi del suo dramma privato risalgono proprio ai primi tra lui e Vittorio Cecchi Gori, ai tempi di OcchioPinocchio e della sua sofferta gestazione. Da lì in poi, lavorazioni tormentatissime per ogni suo nuovo film (anche Il signor Quindicipalle restò bloccato per più di un anno), e il parallelo emergere di problemi personali sempre più pressanti. Probabilmente però adesso qualcosa inizia a muoversi, e ci si augura che l’arte di Francesco Nuti si trovi soltanto alle porte di una riscoperta collettiva.

Un primo passo è questo preziosissimo recupero in home video di Madonna che silenzio c’è stasera, film mai distribuito in DVD a causa di un’intricata vicenda sui diritti d’autore. Grazie all’impegno di CG Home Video e Mustang Entertainment, l’opera è ritornata a nuova vita, restaurata e rieditata in DVD e Blu-ray. L’entusiasmo al cinema Odeon di Firenze è stato enorme, con file e spintoni fuori dalla sala come sempre più di rado accade oggigiorno, specie per un film italiano. E’ innegabile che la portata di Francesco Nuti in ambito locale sia straripante: a Firenze e dintorni il suo cinema, e in particolare Madonna che silenzio c’è stasera, viene citato a memoria, assumendo tratti quasi proverbiali. Dalla canzone “Pupp’a’ppera” alla Macchu Picchu vagheggiata in di fuga, siamo di fronte a un film che ha segnato più una dopo l’altra, sull’onda di un’interessante identificazione del pubblico in un racconto fortemente surreale.

Ma la rivalutazione che il cinema di Nuti merita dovrebbe partire esattamente da qui, ovvero da un netto rifiuto della dimensione regionalistica, partendo anche da una semplice constatazione: negli anni ’80 i suoi film raccoglievano un enorme successo di pubblico in tutta Italia (del resto è un tratto comune a tutti i “malincomici” di quel decennio: Verdone aveva successo anche fuori Roma, Troisi era amato ovunque, Benigni pure…). Eppure tutto il racconto di Madonna… si muove volutamente in una dimensione piccola e ristretta, in cui il provincialismo si trasforma in culla e prigione al contempo. Che cosa dunque assume tratti universali, e rende Madonna… un pregevole pezzo di cinema? Innanzitutto l’aspirazione a una comicità surreale, che tale rimane, sorta di esperanto, a Prato come nel resto d’Italia, così come nel resto del mondo.
Si è parlato molto delle ascendenze cinematografiche di Madonna… e di tutto il cinema di Nuti. Per il film in questione i parallelismi con Chaplin e il neorealismo italiano sono anche troppo immediati. Da un lato il personaggio di Nuti, lunare e malinconico, che vive con mesta sofferenza la frattura tra sé e un imprendibile, rigidissimo mondo esterno, alle prese con macchine-mostro di una disumana industrializzazione in odore di Tempi moderni (la famosa lotta di Nuti con il telaio), e accompagnato da una figura di bambino in cerca di modelli; dall’altro, come suggerisce Giovanni Nuti negli ottimi extra del DVD, il “neorealismo surreale” di Zavattini-De Sica, con bella mescolanza di attori professionisti e non professionisti e tensioni favolistiche.

Ma, a fronte di tutto questo, Nuti si esprime tramite una propria visione “del cinema e del mondo”, trasformando Madonna… in un’esperienza cinematografica raramente ripetibile. A costruire il tessuto profondo del film concorrono infatti tensioni e contributi specifici del suo tempo, che in qualche modo rendono riconoscibile buona parte del cinema italiano inizi anni ’80: innanzitutto la derivazione cabarettistica, che conduce il fatto-cinema in territori inesplorati (tempi lunghissimi, pedinamento di un primattore debordante, con sensibili ricadute in ambito di regia e di estetica) ma che al contempo esalta nuovi specifici strumenti linguistici. La comicità di Nuti è infatti composta di piccolissimi gesti, di titubanze e scarse parole, che solo una macchina da presa può catturare: una comicità poco teatrale, votata al cinema, ma foriera di nuovi effetti sullo stesso fatto-cinema, che si concentra sull’ e sulla sua fisicità. Poi, l’emergere della piccola produzione, questa sì radicata spesso in ambito regionale (patrimonio completamente spazzato via, ahinoi, nel cinema italiano di oggi): Madonna… nasce come esile produzione indipendente locale, realizzata con pochissimi fondi, eppure pulsante di vere idee e ancora di un’idea di cinema, animata anche da un sano spirito ludico e goliardico. Girare un film come gioco tra amici, un principio ispiratore probabilmente nuovo nel cinema italiano alle soglie degli anni ’80.

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Forse ancora diffidente verso l’acerbo Nuti come eventuale regista, il produttore chiamò a dirigere il film Maurizio Ponzi, autore di nobili ascendenze che si legò a Nuti per i suoi primi tre film da solista. Il rapporto regista- che venne a crearsi in quelle tre opere assume, a uno sguardo attuale, connotati più forti e pregevoli: all’epoca la regia sembrò piegarsi totalmente allo straripante primattore e alle ristrettezze produttive, e in questo rimane del vero. Ma a tutt’oggi in Madonna… la regia appare anche acuta e sensibile, lontana anni dall’anonimato generalizzato delle attuali commedie italiane, che pure sono prodotte con fondi ben più sostanziosi. La sensibilità per il paesaggio urbano, la capacità di collocare la modesta figura di Nuti nel grigiore di una piccola città di provincia, la scelta di campi lunghi in cui il protagonista spesso si perde (chi girerebbe mai un’inquadratura in campo lungo per un film con Checco Zalone?): la regia al servizio di un attore, che si cura però di valorizzarlo anche in relazione a un contesto-cinema, non soltanto per catturare meramente la battuta del momento.
A chiudere il cerchio dell’universalità del cinema di Nuti, subentra poi il suo gusto tutto particolare per il surreale. Eredità diretta della sua esperienza cabarettistica con i Giancattivi (Alessandro Benvenuti e Athina Cenci), Nuti si fa forte della propria fisiognomica e della sua tendenza alla trovata irrazionale. La sua comicità assume tratti fortemente personali, scaturendo dal conflitto tra uno sguardo diverso (il protagonista) e una realtà rigida e cristallizzata, intensamente caratterizzata in senso provinciale. Seguendo le orme casuali e divaganti di uno sfaccendato pratese senza lavoro, Nuti inanella un episodio surreale dopo l’altro, scontrandosi per lo più con figure di anziani patetici e mostruosi, o con prigionieri di un sistema più grande di loro (gli operai senza dita, il padrone della ricevitoria…), componendo di rimbalzo il ritratto di una realtà frustrante e senza grandi aspettative per una generazione disorientata. Perciò Nuti piaceva tanto, e non solo in Toscana. Andava a toccare nervi scoperti e rimossi di un intero paese, e potenzialmente dell’ umano a tutte le latitudini.

Come sottolinea Giovanni Veronesi negli extra, il film si configura anche come importante documento storico oltre le proprie intenzioni. Vediamo una Prato che sembra più lontana nel tempo di quel che è. Sono passati “solo” trent’anni, eppure la città è radicalmente mutata: la Prato del tessile e delle case del popolo, dello scontro generazionale, del riflusso ideologico, dei di fuga di una generazione sconfitta (il bel personaggio del Magnifico, interpretato da Massimo Sarchielli). Ma, di nuovo, era buona parte dell’Italia in quegli anni a trovarsi in un confuso senso di sconfitta. Chi negli anni ’70 sognava una società diversa, si ritrovava prigioniero al telaio con tre figli a casa. E il “paese per vecchi”, di bassissimo profilo e senza grandi aspirazioni per i giovani, è lo stesso di oggi. Nuti universale, quindi. Universale e profetico. Col valore aggiunto di uno spirito mesto e malinconico nei confronti di una cattiva e incomprensibile, che apre il suo cinema a un valore universale per l’esistenza umana, sempre e ovunque.

Recensione: quinlan.it

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By Anam

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