Titolo originiale: La sangre iluminada
Nazionalità: Messico
Anno: 2007
Genere: Drammatico, Esoterico, Fantastico, Spirituale, Thriller
Durata: 104 min.
Regia: Iván Ávila Dueñas
Città del Messico: a un uomo davanti a una fontana inizia uscire sangue dal naso e sviene. A Zacatecas accade una cosa simile a un bambino che al risveglio ha i ricordi di quell’uomo. Questa misteriosa trasmutazione dell’anima da un corpo a un altro sembra riguardare non soltanto loro due.
Al film di Iván Ávila Dueñas, regista messicano per cui potrebbe valer la pena un approfondimento e che per caso incrociai tempo fa con La leche y el agua (2006) dove vestiva i panni di produttore, va riconosciuta una propria cifra distintiva nella quale si assiepano strati di un mistero non facilmente sondabile; il fascino penso stia proprio qui, poiché il non dare coordinate precise rende La sangre iluminada (2007) un’opera aperta che invita ad una partecipazione attiva lo spettatore. Sarà forse ovvio ribadirlo ma se la pellicola ci fosse stata proposta con modalità più ortodosse qualsivoglia forma di magnetismo sarebbe svanito nel nulla. Constatata la libertà interpretativa, va subito sottolineato che Ávila Dueñas nonostante si giochi sufficientemente bene le sue carte (e già dal plot perché quando il cortocircuito vita-morte scende in campo le antenne si drizzano sempre), non riesce a distanziare del tutto La sangre iluminada da alcuni aspetti che limitano gran parte del cinema di matrice narrativa. Potrebbe anche essere una mia percezione soggettiva, tuttavia il film sotto esame non riesce a trasbordare in territori di alta sensorialità (si vedano i lavori del connazionale Reygadas come modello), né si toccano i lidi di un’auspicata contemplazione, al contrario il regista galleggia in una zona ibrida non completamente emancipata dai vincoli imprigionanti del racconto.
La diretta conseguenza è che alla bella idea del sangue come liquido conduttore di anime in altri corpi, corrisponde una realizzazione caotica e un filo pasticciata. Se prendiamo i raccordi tra i vari personaggi ci troviamo di fronte ad accorgimenti estetici che sembrano derivare da esemplari di cinema non esattamente all’avanguardia (i brevissimi lampi epifanici inseriti nel montaggio sanno di thriller soprannaturale hollywoodiano), e se ci soffermiamo sui personaggi stessi l’impressione è che il filo conduttore sia pericolante o, nel caso dell’impiegato, ad un passo dalla caduta (è l’episodio più scollato che le mie facoltà mentali non hanno compreso appieno). Il soffermarsi sul desiderio, sulla necessità di comprendere gli ingranaggi della storia, è un discorso che si riallaccia alle ultime righe del paragrafo soprastante, infatti è in situazioni del genere che un film non riuscendo a compiere il salto verso uno step affrancato dalle costrizioni scritturiali induce il fruitore a ricercare un senso verso le suddette, e, come spesso accade, la caccia non si rivela soddisfacente. Quando però sembrava che La sangre iluminada non potesse più esprimere l’intuibile potenziale tematico, ecco che Ávila Dueñas con l’introduzione di Isaías, l’ultimo anello della catena sanguinea, giunge ad una chiusura del cerchio, sicché una discreta parte del disordine precedente trova una possibile collocazione. Nel corpo di Isaías, appunto. E pur non scacciando mai l’impressione che il regista abbia perso le redini nella parte centrale del film, l’intensità umana di questo capolinea multi-esistenziale mitiga affettuosamente le imperfezioni di cui sopra. Il pianto conclusivo è pura escatologia.
Grazie al forum di AW per la segnalazione e per i sub.
pensieriframmentati.blogspot.com
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