SAMUI SONG [SubITA]

Titolo originale: Samui Song
Nazionalità: Germania, Norvegia, Thailandia
Anno: 2017
Genere: Drammatico
Durata: 108 min.
Regia: Pen-Ek Ratanaruang

Viyada, trentenne attrice di soap opera, è sposata con Jerome, un ricco cittadino straniero. La crescente ossessione dell’uomo per una setta religiosa chiamata Buddhakaya e per il suo carismatico guru, compromette la loro unione. Quando non sembra avere nessuna via di uscita, Viyada conosce Guy Spencer, un tipo misterioso che sostiene di poterla liberare da ogni problema. Le cose però non vanno come previsto e Viyada dovrà prendere drastiche misure per sfuggire una volta per tutte dall’influenza del santone.

La 74a Mostra Internazionale d’Arte Cinematografica di Venezia apre le Giornate degli Autori con Samui Song (Mai Mee Samui Samrab Ter), di Pen-ek Ratanaruang, autore tailandese molto apprezzato nei circuiti indipendenti, presente con un suo film a Venezia per la seconda volta dopo Last life in the Universe nel 2003, nella sezione Controcorrente. Dotato di un grande senso visivo il regista mette in atto, nella sua nuova creazione, una metastoria che si muove intorno alla figura di Viyada, interpretata da Chermarn Boonyasak, attrice di soap opera che decide di cambiare la sua vita personale e lavorativa. Sposata con un ricco francese, Viyada ne subisce i soprusi psicologici e fisici che la costringono a pensare ad un tragico piano per sbarazzarsi del marito, fanatico seguace di una setta che ha come leader un santone dalla dubbia moralità. Il suo percorso catartico inizia con un incidente stradale che irrompe improvvisamente nella sua vita aprendo due prospettive, come un fulmine che squarcia il cielo in una notte piovosa. Chi vuole essere Viyada? Il film di Pen-ek Ratanaruang si gioca sul dualismo che la società tailandese probabilmente inizia a sentire, frutto della contaminazione occidentale e dei sempre più numerosi matrimoni misti. Viyada in Samui Song è chiamata a scegliere se essere la bella moglie asiatica del benestante occidentale Jerome (Stèphane Sednaoui), oppure un’attrice di forte ed indipendente. Scelta tanto drastica poiché dettata da violenza ed oppressione cui la donna, molto famosa in Tailandia per i suoi ruoli da cattiva nelle soap, è costretta ad accettare a causa di un contratto prematrimoniale.

A spingere la giovane donna verso la scelta più difficile è Guy Spencer (David Asavanond) un uomo conosciuto in ospedale, per metà occidentale e per metà tailandese, che mosso dai suoi racconti sulle terribili esperienze subite a causa del marito e della setta di cui è seguace, la induce ad ingaggiarlo come sicario. Come la maggior parte dei noir, il piano non funziona e i due complici si ritroveranno entrambi a dover cambiare vita per sfuggire ai predicatori della setta, in cerca di vendetta per la morte del Maestro Jerome. Il regista, che si cita e che vediamo più volte all’interno del film, affronta principalmente il tema del dualismo che è evidente ed è sottolineato visivamente già all’inizio del film con un preciso utilizzo del bianco e nero. Pen-ek Ratanaruang ha il coraggio di analizzare temi scottanti come indipendenza femminile, omosessualità, impotenza, stupro, povertà.

Argomenti che sono distribuiti equamente durante la sceneggiatura, caratterizzata da dialoghi brevi ma intensi e da primi piani e carrellate, alternate a momenti di cruda follia e omicidi, girati con una tale commistioni di stili che a tratti ricordano i classici film asiatici sulle arti marziali, mentre in altri sono chiari riferimenti al noir hitchcockiano. Nelle scelte registiche è palese la volontà di riservare una potente carica visiva a piccoli elementi che caratterizzano le fasi più enfatiche di Samui Song. Precisi e rigorosi segnali che il regista lancia coraggiosamente agli spettatori, che in soli 108 minuti si ritrovano a ragionare su argomenti tanto importanti quanto difficili da trattare cinematograficamente. Un’operazione che riesce bene a Pen-ek Ratanaruang, che presenta un film capace di sorprendere. Certamente è il concetto di doppio che affascina il regista, che non si tira indietro nella sua rappresentazione concettuale e visiva, dal completo bianco indossato da Guy Spencer in ospedale al suo spoglio e sudicio appartamento, dall’amore per una madre malata alla follia omicida, dalla repulsione per uno stupro all’amore materno. Persino gli attori cambiano volto e fattezze, andando a rappresentare una messinscena che, alla fine è la vita stessa.

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Prodotto da Raymond Pathanavinargoon e Rasarin Tanalerttararom, Samui Song è si avvale del contributo produttivo di società tedesche e norvegesi e si spera che la scelta del film in apertura delle Giornate degli Autori possa essere d’aiuto per una distribuzione italiana. Sezione parallela all’interno della Biennale, Giornate degli Autori dal 2004 mira alla ricerca e diffusione degli artisti più interessanti sul panorama internazionale. Promossa da Anac e 100 autori si pone l’obiettivo di divulgare il cinema di qualità senza alcuna distinzione, selezionando pellicole che esprimono la creatività e l’innovazione, rispettando l’indipendenza e la espressiva. In questa edizione la giuria, composta da 28 giovani europei, è presieduta dalla regista Samira Makhmalbaf, Premio Speciale della Giuria a Cannes nel 2000 e nel 2003 rispettivamente con Lavagne e Alle Cinque della Sera. Un’ottima iniziativa parallela alla Mostra che continua a crescere costantemente proponendo pellicole che spesso non hanno una vita in sala ma che sono lo spirito di un grande evento che pone l’estetica cinematografica al centro dell’attenzione.

Recensione: anonimacinefili.it

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By Anam

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