Titolo originale: Animals
Paese di produzione: Belgio
Anno: 2021
Durata: 91 min.
Genere: Drammatico, Poliziesco
Regia: Nabil Ben Yadir
Brahim è un giovane segretamente gay. Durante la festa di compleanno della madre, le tensioni intorno alla sua sessualità non accettata divengono insopportabili. Brahim decide allora di fuggire di notte dall’opprimente casa di famiglia, andando verso un terribile incontro.
La messa in scena della violenza è sempre un qualcosa di divisivo ma ritengo che questo “Animals” faccia tutto fuorché spettacolarizzarla e si inserisca, anzi, in una di quelle visioni che ritengo imprescindibili. Parte da una storia vera, quella del “primo” omicidio omofobico avvenuto in Belgio… o meglio, il primo ad essere ritenuto giuridicamente tale. A stratificare ulteriormente la vicenda si aggiunge il fatto che la vittima sia un ragazzo musulmano. Il film è simbolicamente diviso in tre parti: nella prima il regista si sofferma sul protagonista, Brahim, un ragazzo sulla trentina che vive il dramma interiore di non poter esternare con serenità il proprio orientamento sessuale a causa della propria religione. Girato nel formato 4:3 e con una serie di lunghi piani sequenza, lo si vede alle prese con i preparativi del compleanno di sua madre in un brulicare di persone e con lo sguardo costantemente al telefono ed alla strada: in questa grande occasione ha deciso infatti d’invitare il suo ragazzo… non è chiaro se ha intenzione di usare l’evento per presentarlo alla sua famiglia ma la cosa è comunque fonte evidente di stress. E le cose non miglioreranno quando il tempo passa e non lo vede arrivare. Quando capisce cosa è accaduto, pur non essendo grave quanto quello che capiterà a lui, lo getta nello sconforto più totale: capisce che non potrà mai far conciliare serenamente la sua omosessualità con la sua famiglia ed esce, completamente in balìa del destino che, si sa, quando vuole si accanisce come poche altre cose. Nella ricerca del suo fidanzato – e qui inizia la seconda parte – s’imbatte infatti in un quartetto in cerca di donne e guai (anche loro, ironia della sorte, alle prese con i festeggiamenti di un compleanno.
Tutto grida al pericolo imminente e lo spettatore può disperarsi quanto vuole verso lo schermo cercando di avvisare il protagonista dell’errore più clamoroso della sua vita ma la realtà è che Brahim è spento: quanto gli è successo l’ha ucciso dentro ed ha azzerato anche il più pallido rimasuglio d’istinto di preservazione. Cosa succede si può tristemente intuire, un’escalation di violenza dapprima verbale e poi fisica, totalmente gratuita e soprattutto con Brahim che veste letteralmente i panni di un autentico agnello sacrificale… devastante, più che struggente. Il regista rende bene la sua tesi che la violenza nasce dall’incomunicabilità: quando decidi che chi hai di fronte non è degno di essere ascoltato, puoi assimilarlo ad un oggetto inanimato e colpirlo come faresti con un sasso. Contribuisce, inoltre, a rendere violenta anche la messa in scena di questa seconda parte l’assenza di una vera e propria regia: il tutto è ripreso dal cellulare passato di mano in mano tra gli aguzzini.
E la terza parte? Cosa può esserci ancora dopo un atto simile?
In un silenzio assordante, dopo tante urla, seguiamo la giornata successiva del più giovane dei quattro carnefici… il più restio a partecipare alla mattanza ma anche quello che avrà una (d)evoluzione maggiore. Cosa si prova dopo un omicidio? Cosa può spingere ad una tale barbarie? Quanto scopriremo alla fine è – forse – la parte più agghiacciante di tutto questo splendido film.