IT’S IMPOSSIBLE TO LEARN TO PLOW BY READING BOOKS (SubITA)

Titolo originale: It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books
Paese di produzione: Stati Uniti dell’America
Anno: 1988
Durata: 95 min.
Genere: Drammatico, Commedia
Regia: Richard Linklater

It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books è il primo lungometraggio di Richard Linklater. Un esperimento che ricorrendo al minimalismo rifugge qualsiasi sviluppo narrativo canonico, dimostrando al di là del pauperismo produttivo la voglia del cineasta di raccontare il suo Paese.

In
Un giovane viaggia attraverso il Paese facendo incontri e svolgendo attività saltuarie. [sinossi]
Il 13 settembre del 2004, sul sito della Criterion (la casa di distribuzione home video leader assoluta a livello mondiale per qualità della dei titoli in catalogo e della resa video degli stessi) Monte Hellman scrive una lettera che si apre sulle seguenti parole: “Fifteen years ago I received a letter from a young film director in Texas, who enclosed a tape of his first film, with the unlikely title It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books. It might as well have been called It’s Impossible to Learn to Make Movies by Reading Books. Given some natural talent or aptitude, the best way to learn to plow or make movies is by doing, and I was enormously impressed by this director’s first effort. His name was Richard Linklater”. Non sono in molti, soprattutto al di fuori degli Stati Uniti d’America, ad avere una reale conoscenza del cinema di Richard Linklater, e ancor meno sono le persone che possono affrontare senza imbarazzi una discussione sul suo lungometraggio d’esordio, datato 1988. Per i più la filmografia di Linklater si inaugura con Prima dell’alba, capitolo iniziale di quella che per ora è divenuta una trilogia – ma nessuno si stupirebbe se il regista scegliesse di ampliarne i confini –, e che è in realtà addirittura solo il quarto film del regista texano, visto che è successivo anche a Slacker (che in Italia si vide alla Mostra del Nuovo Cinema di Pesaro, all’epoca sotto l’egida di Adriano Aprà) e a Dazed & Confused, tradotti in italiano con La è un e uscito nella penisola direttamente in vhs prima e in dvd più in là negli anni. Le parole entustiastiche di Monte Hellman – altro regista fin troppo poco conosciuto in Italia, per quanto abbia diretto perfino un film a Roma, il tardo spaghetti Amore, piombo e furore – potrebbero dunque cogliere di sorpresa lo spettatore occasionale della filmografia di Linklater, perché a uno sguardo effimero poche possono apparire le relazioni tra Hellman e il regista di School of Rock o di Tutti vogliono qualcosa. In direzione di una stratificazione del pensiero critico e teorico su Linklater si era già mosso Gabe Klinger nel suo documentario Double Play, mettendolo a confronto – e facendolo confrontare in scena – con James Benning.
La verità è che le opere più personali di Linklater, quelle meno direttamente collegate all’industria – il suo cinema è in perenne movimento di avvicinamento e presa di distanza da Hollywood – sono anche le più ignote, anche se la loro conoscenza paleserebbe una volta per tutte il ruolo fondamentale, e per certi versi unico, che il regista di Waking Life sta svolgendo in un cinema statunitense sempre più in crisi, tanto dell’immaginario quanto della volontà di raccontare, e di raccontarsi. Al contrario Linklater nel corso di un trentennio non ha fatto altro che perseguire un proprio personale racconto del grande corpo americano, di quel misterico e affascinante Paese in perenne conflitto, tanto con sé stesso quanto con l’esterno. Unico vero cineasta in viaggio, tra quelli della sua generazione, Linklater è il perfetto discepolo tanto dell’America indipendente – sotto tutte le forme che questo termine può accogliere – quanto delle pulsioni autoriali di stampo europeo.

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Per una maggiore dimestichezza con questo aspetto della sua poetica espressiva si può decidere di (ri)partire proprio da It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books, un film che al momento della sua realizzazione restò praticamente a chiunque. Nel 1988 Linklater si era già confrontato con la regia, dirigendo il cortometraggio Woodshock, e soprattutto aveva già dato vita (insieme a Lee Daniel, Louis Black, Charles Ramirez-Berg e Chale Nafus) alla Austin Film Society, lo spazio nel quale mostrare al pubblico tutto ciò che non apparteneva ai codici del mainstream hollywoodiano, fossero esse pellicole sperimentali, film stranieri sottotitolati o progetti indipendenti girati con pochi fondi da registi statunitensi. Una poetica espressiva che è anche politica, e alla quale Linklater aderisce senza battere ciglio: il suo esordio è uno slabbrato, iper-minimale film antinarrativo, girato in Super-8 e per il quale il regista si occupa di tutti gli aspetti tecnici e produttivi, arrivando addirittura a interpretare in prima persona il protagonista, un ragazzo che viaggia, e nulla più.
Come i protagonisti del capolavoro di Hellman Strada a doppia corsia anche il personaggio interpretato da Linklater si muove da un posto all’altro senza alcuno scopo, e senza alcun motivo che venga in qualche modo “spiegato” allo spettatore. Il suo vagare è il movimento perenne di una generazione che non si riconosce nel pensiero dominante del capitalismo e cerca di trovare coordinate personali per mettere in atto una resistenza, per quanto blanda o inefficace essa possa risultare alla resa dei conti. Dopo aver bighellonato per Austin il ragazzo parte e raggiunge Missoula, la del Montana in cui nacque anche David Lynch, per poi spostarsi a San Francisco, e far ritorno a casa della madre in Texas, a occuparsi del cane di lei per incontrare, infine, Daniel Johnston. Questa, in estrema sintesi, è l’unica sinossi possibile per raccontare It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books, un film che rifugge da qualsiasi facile soluzione, e che non cerca mai – neanche con la coda dell’occhio – di accarezzare le placide abitudini del pubblico, anche quello più attento al prodotto non codificato. Per quanto sia stato per comodità inserito nel gran calderone dell’indie-movie, quel movimento-non-movimento che a partire dagli anni Novanta portò nuova linfa (per lo più economica) al sistema-cinema statunitense fingendo nei fatti di rappresentare un’alterità, Linklater non è mai appartenuto a quel mondo, e lo dimostra proprio la presenza in scena del geniale e da poco scomparso Johnston, cantautore mai a proprio agio nelle pieghe del sistema. Esattamente come Linklater, che al sistema non si è mai accostato, dimostrando al contrario una reale indipendenza di pensiero, e di ragionamento sulla narrazione, sull’utilizzo dello spazio e del tempo.

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Lo spazio e il tempo tornano preponderanti anche in It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books (la frase, così spiega il film, sarebbe desunta da un modo di dire russo). Com’è scritto lo spazio è il grande corpo dell’America, quello già cantato dalla beat generation di Kerouac e Ginsberg e poi rinnovato nell’immaginario dalle schegge impazzite del New American Cinema; ma è anche il corpo in scena, utilizzato da Linklater – che raramente nel film ricorre alla parola, contravvenendo a una delle regole della sua poetica successiva: spesso i dialoghi sono coperti da rumori dell’esterno, dalle macchine o dallo sciabordio delle acque – per sperimentare possibilità di scardinamento del tempo preordinato, attraverso l’arma (im)propria del montaggio. Assume dunque le forme del cinema sperimentale, questa bizzarra creatura che da un lato dialoga con Hellman e dall’altro fa indugiare lo sguardo dalle parti di Chantal Akerman, due cineasti che sul concetto di spazio e tempo e sul insanabile tra loro hanno architettato parte consistente della propria poetica. Il montaggio, il campo di ripresa, la tecnica nel complesso sono poi le modalità che Linklater sceglie per provare fin dal primo film a ritrovare una connessione tra gli esseri umani, un punto di contatto che non sia contaminato dalle obesità della società. C’è una semplicità quasi matematica, in It’s Impossible to Learn to Plow by Reading Books, una purezza che rifugge qualsiasi tipo di mediazione con l’esterno. Un’opera microscopica e priva di budget, nella quale già si intravvede con forza il disegno di un percorso coerente, sia da un punto di vista e politico che espressivo, destinato a segnare in profondità la messa in scena del proprio Paese.

(Quinlan.it)

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