WHY DON’T YOU PLAY IN HELL? [SubITA]

Titolo originale: Jigoku de naze warui
Nazionalità: Giappone
Anno: 2013
Genere: Azione, Commedia, Drammatico
Durata: 129 min.
Regia: Sion Sono

Gli Muto e Ikegami sono a capo di due clan in da anni. Il primo cerca anche di rispondere alle ambizioni della figlia che vorrebbe diventare una star del cinema, mentre il secondo è vittima di una fascinazione ossessiva nei confronti della ragazza. Il regolamento dei conti diventerà un film in cui saranno coinvolti, in maniera più o meno entusiastica, l’aspirante regista Hirata e un timido ragazzo di nome Koji…

70a Mostra del Cinema di Venezia, 29 Agosto 2013
“Vedi Sion Sono e poi muori – perché quella visione può bastare e avanzare per un festival intero, ma pure per tutta la vita –, e anzi poi ti incazzi per l’indecenza che il leone d’oro sia fuori concorso (!!). Parodia/omaggio/bacio in bocca/sberleffo agli movie, ai film meta-cinematografici e in generale al meta-tutto, calcio in culo a Tarantino (da più direzioni), Why don’t you play in hell è finalmente IL film per cui stracciarsi le vesti e le carni. Che sfreccia nell’acido e nel metadone, nel ritmo fulmicotonico che divora iconicizzandoli i suoi personaggi, in gran parte del tempo montato come un trailer tanto è forsennato, schizzatissimo e traboccante. Il cinema come la passione infernale può essere creato e ancor di più esistere da/per/in qualsiasi cosa, dallo spot per dentifrici ad un coltello da cucina ancora sporco di verdura. schermo che sbava sangue, amore che riduce in cenere con una spada ficcata in testa e dei cocci di bottiglia in bocca, ma ancora e sempre VIVI. Dai requiem Himizu (che mozza il fiato) e Land of hope (che il fiato non può più averlo) a questa stangata resurrezionale e (metem)psicotica. Deus/genius ex machina, Sion traina protagonisti che agiscono e si stupiscono in un tessuto impazzito e febbricitante di convergenze e coincidenze, sempre più consapevoli di una visione sotto ai loro/ai nostri occhi. Fatidico in ogni istante, Sion Sono: il cuore batte a 35 mm al secondo e in digitale, ci lascia insanguinati e adoranti”.

Brutti, sporchi, cattivi, gioiosi. Cadono a pezzi, affogano nel sangue, imbecilli, stupidi, piccoli. Tempeste di colori, montaggio mitragliatrice. Personaggi che sono il sole, ambienti che sono l’universo. Ognuno un colore, i più radiosi freak di sempre. Sion Sono riesce a portare tutto oltre. Lo script è degli anni ’90, ma c’è tutto l’incidere l’ansia che andato migliorando/declinando/ritentando film dopo film. E qui l’ansia è incisa ed asportata: Fuck bombers! Retsugò! Asportata, lontana, inesistente. Brillanti come denti, come nella pubblicità di un dentifricio, orgogliosi dementi, facendosi male, trionfando tonti e felici di esserlo. Urla fradice di sangue, una color correction che stappa via i bulbi e che poi scompare, alla fine, nella gola straziata, spalancata, nella corsa che suda vita, sdentata, storpia, ridicola e trionfante. L’opposto di Strange Circus, più di Love Exposure. Sion sono riesce a non decidere niente, di fare delle sua (ennesima) storia di famiglie disadattate e ricreate, ricercate, il paradiso (dove prima era l’inferno), il divertimento degli dei come se fosse tizi qualunque e viceversa. Why don’t you play in hell. La dinamite nei barattoli di vernice fatta cinema. Dio, che giostra. Dio, che marachella. Dio, che fuoco d’artificio copioso e poi infinito. Dio, come avere sei anni e vedere le cose rompersi e frantumarsi al suolo, come scarabocchiare fregandosene dei margini, iniziando dal foglio, finendo sulla faccia di dio, e poi Why don’t you play in hell. Il sovraffollamento di viscere che escono dalla pancia e volano come raggi luminosi.

Dio che balletto di ridere, di essere stupidi, di correre, di vernice rossa che piove. Sion Sono prende il cuore e lo strappa via dal petto come se fosse l’unico modo per ricordare di essere vivi: è lì, che gronda, è lì che è una festa, è lì e guardalo e ricordalo, e lì che cambia colore, cambia continuamente colore, e lì che non significa niente. Corri, insegui, come fossi un cane fucsia dietro qualcosa di indefinito. La vera astrazione, la vera chiamata alle armi, la vera chiamata alla gioia. Trionfante moribondo accatastamento di corpi. Presi, scardinati, sconquassati e portati lontano da tutto e dentro tutto. Se la tristezza, al cinema, è sempre ben accetta, Sion Sono è riuscito a rendere la felicità come l’unica realtà possibile. Come di un arredato con pezzi di cervello, ali di pollo di sogni afferrati nel sonno. Come se questi potessero uscire dal naso e arrampicarsi ovunque. Festoni gridanti ed espressioni idiote. Il terremoto perenne, che nasce dal midollo. Una ragazza sgozza, escono arcobaleni. Un bagno di sangue, una tuta di Bruce Lee. Il Rosso e il Giallo. Una pubblicità. Il circo lercio e immacolato che dormiva in fondo alla testa, eccolo. I suoi personaggi e lui non hanno dimenticato di aver desiderato, e continuano. E muoiono così, ché non esiste altro per cui morire. Felici da fare schifo.Sion Sono al di sopra di ogni cosa. Why don’t you play in hell al di sopra di Sion Sono.

Guarda anche  BURST CITY (SubITA)

Recensione: positifcinema.it

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By Anam

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