VAN DIEMEN’S LAND [SubITA] 🇦🇺

Titolo originale: Van Diemen’s Land
Paese di produzione:
Anno: 2009
Durata: 104 min.
Genere: Biografico,Thriller
Regia: Jonathan auf der Heide

Van Diemen’s Land è un’opera che riesce a indagare l’animo umano e a mettere in scena il silenzioso, affascinante e raggelante miracolo della natura: la macchina da presa, che arriva a incollarsi ai volti provati e rabbiosi degli affamati fuggitivi, scavando nei loro cuori neri come la pece, mantiene una rispettosa distanza dai boschi e dalle montagne, quasi a sottolineare la sacralità dei luoghi.

Ho visto Dio danzare con un’ascia in mano

Nel 1822, Van Diemen’s Land, l’attuale Tasmania, è una colonia penale britannica. Otto prigionieri riescono a sfuggire al controllo delle guardie e si ritrovano immersi in una natura sconosciuta e inesplorata. L’inglese Robert Greenhill promette di condurli alla attraverso quelle terre remote, ma Alexander Pearce, irlandese, diffida dei suoi compagni sopraffatti dalla fame e dalla stanchezza; presto diventa chiaro che la sopravvivenza è l’unica legge in quelle foreste profonde e chi non vuol ucciso dovrà per primo… [sinossi – torinofilmfest.org]

We left Macquarie Harbour
it was in the pouring rain
none of us quite sure
if we would see England again…
A Tale They Won’t Believe – Weddings Parties Anything

La pellicola del giovane cineasta australiano Jonathan auf der Heide, attore, regista e sceneggiatore nato e cresciuto in Tasmania, può essere tranquillamente collocata nella ristretta cerchia degli esordi folgoranti. Van Diemen’s Land, versione lunga del cortometraggio Hell’s Gates (2007), realizzato al termine del corso di studi alla VCA School of Film and Television dell’Università di Melbourne mette in scena una terribile vicenda, realmente accaduta nel lontano 1822 in una colonia penale britannica: una storia di disperazione, discesa agli inferi, sopravvivenza, sopraffazione e, dulcis in fundo, cannibalismo. Evidenti e dichiarati con comprensibile entusiasmo i rimandi visivi, formali e poetici alle opere di Terrence Malick (La sottile linea rossa, The New World) e Werner Herzog (Fitzcarraldo, Aguirre, furore di Dio e via discorrendo). Jonathan auf der Heide, aiutato nella scrittura dall’attore e protagonista della pellicola Oscar Redding (il vorace detenuto irlandese Alexander Pearce), rinuncia alla componente gore, strada che avrebbe condotto inevitabilmente verso altri significati, e mette in scena l’impossibile confronto tra uomo e natura, tra il debole individuo solo e abbandonato e la maestosità dei boschi inesplorati, delle impervie montagne, delle gelide temperature. Lo sventurato gruppo di detenuti, sfuggiti al blando controllo delle guardie di Sua Maestà, non scappano verso la libertà ma corrono a perdifiato verso l’Inferno, oltrepassando a grandi falcate i limiti tra umano e disumano. Un percorso in discesa quasi inevitabile, non giustificabile ma comprensibile: la lotta dell’uomo per la sopravvivenza non è quasi mai una vicenda per educande.

Alexander Pearce, condannato per il “furto di sei paia di scarpe”, e i suoi compagni diventano esseri minuscoli dispersi tra il verde che ricopre montagne e vallate, sovrastati da alberi secolari, provati dalle insistenti piogge, dalle ingenerose nevicate, ostacolati e condannati da “fiumi di rabbia”. Jonathan auf der Heide, capace di radunare un validissimo gruppo di attori e di lavorare con un budget abbastanza limitato, oppone la brutalità dell’uomo alla della natura, agli indimenticabili panorami della Tasmania. Van Diemen’s Land è un’opera che riesce a indagare l’animo umano e a mettere in scena il silenzioso, affascinante e raggelante miracolo della natura: la macchina da presa, che arriva a incollarsi ai volti provati e rabbiosi degli affamati fuggitivi, scavando nei loro cuori neri come la pece, mantiene una rispettosa distanza dai boschi e dalle montagne, con movimenti lenti, quasi a sottolineare la sacralità dei luoghi. Il mondo altro portato sullo schermo dal regista australiano possiede un’aura magica, una forza primordiale, enfatizzata dalle lapidarie frasi che scandiscono la tragica avventura dei galeotti: gli “uomini senza Dio si dirigono verso il Demonio”, in un percorso dantesco interiore, mentre, paradossalmente, attraversano una sorta di paradiso terrestre.

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Fondamentale, ovviamente, l’apporto del direttore della fotografia Ellery Ryan, capace di catturare i suggestivi colori e i giochi di luce di quelle terre selvagge. I raggi di sole filtrati dagli alberi, le diverse sfumature dei corsi d’acqua, la neve, le piogge e via discorrendo: mentre “la fame è uno strano silenzio”, il silenzio della Tasmania riesce a essere assordante, ipnotico, inquietante, mistico.

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By Anam

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