UN BORGHESE PICCOLO PICCOLO 🇮🇹

Titolo originale: Un borghese piccolo piccolo
Nazionalità: Italia
Anno: 1977
Genere: Drammatico
Durata: 118 min.
Regia: Mario Monicelli

 

Nel bel mezzo degli anni di piombo, tra qualche e “l’attacco al cuore dello Stato”, Mario Monicelli si impegna a firmare un’opera inusuale, capace di spaziare dal dolce all’agro, per modo di dire, con una precisa stoccata di fioretto. Ispirandosi ad un lavoro letterario di Vincenzo Cerami dirige un film che lascerà un segno nella storia del cinema italiano e non solo.

Abituati a sorridere di fronte a film mediocri, anche per cercare di dimenticare le ferite procurateci dal tracimante, “Un borghese piccolo piccolo” pone un limite a questa distensione ammonendo lo spettatore, invitandolo a riflettere sul “non è ancora finita” o sul “c’è poco da sorridere”. Ricordandomi un bel dipinto di Otto Dix, “La vita e la morte”, dove una striscia nera divide nella maniera più netta questi poli opposti del genere umano, dal sorriso luminoso e floreale di una donna allo scheletro gracchiante tra distorte e inquietanti stelle, Monicelli, nel giro di 115 minuti decide di passare dal farsesco al ferino, dalla miscela brillante al dramma viscerale.

Giovanni Vivaldi, funzionario ministeriale, trascorre gli ultimi mesi che lo separano dal pensionamento, tra la pesca del luccio con un figlio non poi così brillante e reiterate invasioni dai Superiori per raccomandare quest’ultimo al fine di procurargli l’agognato posto fisso. Tra dipendenti “oberati” di faldoni che sbuffano allo sganciar di quattrini di fronte alle ricorrenze per onorare i colleghi e possibilità di risoluzione a copiose eruzioni cutanee di matrice epatica, il buon diavolo Vivaldi, scende ad ogni compromesso pur di vedere l’unico erede sistemato. Tenterà di giocare sporco, lustrerà il blasonato didietro del Capo Ufficio e si iscriverà anche ad una improbabile quanto scalcinata loggia massonica, indossando tutti quei piccoli difetti che mal si celavano e mal si celano dietro ognuno di noi, o quasi.

Quel che sembra un percorso più o meno normale viene spazzato via da un evento tanto estemporaneo quanto violento. Nel bel mezzo di una rapina, un proiettile di troppo pone fine alla vita del figlio. Ciò segnerà il giro di boa, piuttosto atroce, della vita del modesto impiegato e non solo. La moglie apprenderà la notizia casualmente dal telegiornale, crollando inevitabilmente in un velenoso e devastante malore. E ora? Cosa farebbe un padre a cui è stato tolto improvvisamente l’unico figlio? Cosa farebbe un marito lasciato solo anche dalla moglie resa completamente invalida dallo shock? E se dovesse essere l’uomo a scegliere? Sarà quest’ultimo a prevalere, trasformandosi inevitabilmente in bestia. E la bestia non ragiona, al massimo si vendica. E vendetta sarà.

Da quel momento ogni traccia di moralità, di buon sentimento, di rimorso, soccomberà alla bramosia di repressione straziando la vita dell’assassino fino a nebulizzarla. Come se non bastasse, un altro dramma proverà il Vivaldi, la morte della moglie affogata dal troppo dolore. Arriverà la pensione, che lo collocherà in una vita apparentemente normale tra passerotti canterini e neonati in carrozzina, ma basterà un’offesa troppo gratuita per farlo tornare al più caustico degli stati bradi.

Monicelli riesce a leggere nel cuore di cane (lupo), riesce a trovarvi, cancellandole, le tracce essenziali atte ad evitargli ogni possibilità di raziocinio. Dona allo spettatore un’immagine di Sordi mai vista prima, rendendolo tenace, violento, avido di sentimenti, corrosivo, spazzando con un colpo di mano la figura solitamente arrivista, umile, sbruffona, remissiva.

Recensione: debaser.it

 

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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