THIRST [SubITA]

Titolo originale: Bakjwi
Paese di produzione: Corea del Sud
Anno: 2009
Durata: 133 min.
Genere: Drammatico, Horror
Regia: Park Chan-wook

Un prete molto devoto e stimato di un paese coreano si offre volontario per un esperimento medico che finisce a poco a poco per trasformarlo in vampiro, torturandolo nell’anima.L’ cade nella disperazione e nella dissoluzione, fino a quando incontra una donna, moglie di un suo amico d’infanzia, della quale si innamorerà perdutamente. Ma la trasformazione incalza e l’ex prete dovrà combattere con tutto se stesso per conservare la sua umanità. – filmtv.it

Attenzione: presenti spoiler!

Che strano ibrido questo Thirst, ultimo film coreano del grandissimo Park Chan-wook prima della capatina
(per me riuscitissima) ad Hollywood con Stoker.
Non leggo mai recensioni prima ma ho scoperto per caso in una mezza riga di un motore di ricerca che il film è ispirato al “Teresa Raquin” di Zola. Purtroppo non ho letto quest’opera del grande scrittore francese quindi mi sono fiondato a cercarne la trama.
E sì, è praticamente identica. Questo mi fa leggere il film in maniera quasi completamente diversa perchè accorgersi dell’originalità e della genialità con cui Park ha saputo stravolgere e al tempo stesso quasi copiare pedissequamente il testo di Zola me lo fa apparire come un’operazione straordinaria e con un suo perchè.
Lo stesso perchè che, per quanto mi sia piaciuto il film, durante la visione più di una volta faticavo a trovare, non riuscendo a capire dove Park volesse parare, quale fosse il suo punto di focalizzazione, di cosa questo Thirst stesse parlando.
Un film sui vampiri? ad un certo punto sembrava questo, c’è una buona oretta in cui il film può esser preso come film di genere, con tanto di svolazzi notturni, paura della luce, cercare prede, ucciderle e dissetarsene e quant’altro.
Un film sulla liberazione dei propri istinti? ecco, questo l’ho trovato straordinario. Il vampirismo di Sang.hyun mi è sembrata metafora del bisogno dell’ di liberarsi di tutte le sue barriere etiche e morali per lanciarsi alla ricerca del piacere più puro. Questo è un film di e sangue, e quella sete del titolo pare come una sete di tutto, un’ebrezza di vita finora tenuta a bada da un vestito da prete e da una mente incapace di concepire il “male”.

Una storia d’amore? in realtà l’epicentro di tutto sembra la storia tra lui e lei, storia che passa dalla curiosità al sentimento, dal all’odio, una storia inarrestabile che li porterà ad unirsi loro malgrado nella vita e nella morte, a scambiarsi metaforicamente e fisicamente il loro sangue (magnifica la scena dell’abbeveraggio contemporaneo). Del resto il Teresa Raquin è di fine 800 e il raccontare la passione amorosa tra due persone, magari anche difficile e contrastata, era una delle prime istanze dell’epoca.
Un film sul senso di colpa? ci sta, eccome. Tutto è senso di colpa, prima quello di lui del non riuscire a onorare la sua figura di prete, poi quello di entrambi per l’ del ragazzo. E poi quegli occhi della che li guardano di continuo, quegli occhi che li osservano, li giudicano, quegli occhi consapevoli che ricordano tanto il cuore rivelatore di Poe. E tutti i sogni dei due sul ragazzo morto, quella pietra, quei vestiti zuppi. Sarà proprio il senso di colpa quello che devasterà il loro rapporto.
Oppure un film sulla pazzia e sulle apparenze? In questo Park è maestro, la figura di lei così remissiva, vittima, dolce e buona ha almeno due devastanti colpi di scena. Prima quello della rivelazione sulle mancate violenze del marito defunto, rivelazione involontaria che ci fa guardare il film da un altro punto di vista, quello di una malata che è riuscita fino a quel momento a ribaltare completamente le apparenze quando, forse, era lei in realtà la burattinaia. Forse addirittura carnefice anzichè vittima? E poi anche quando lei si “prenderà” quella metaforica malattia del vampirismo capiremo che sì, che lei non è come appare, che è disposta a tutto pur di prevalere, pur di soggiogare gli altri. I suoi istinti esplodono, diventa una predatrice, quello che forse è sempre stata.
E per ultimo può anche apparire come un film metafora di certe situazioni famigliari in cui la donna, maltrattata e insoddisfatta, alla fine reifica le sue fantasie di libertà in una relazione finalmente appassionata e trasgressiva finanche a raggiungere lei stessa l’omicidio.
Insomma, oscillavo tra tutte queste sensazioni.
E intanto il film, a mio parere troppo lungo, procedeva tra momenti di stanca ed altri notevolissimi, non tralasciando una smaccata e forse eccessiva predilezione per dei dettagli splatter e macabri, tanto che ad un certo punto sembrava di essere davanti a Sion Sono azichè a Park. Non che Park in passato (vedi il finale di Lady Vendetta) non ci avesse propinato scene simili ma qui lo fa in maniera quasi grottesca, evidente, eccessiva, maniacale, alla Sion Sono appunto.

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Sangue dapertutto, sangue che pulsa nelle gole all’ospedale, sangue bevuto dalle flebo, sangue succhiato dal collo e dal cuore, sangue che imbratta una stanza candida come la neve.
C’è tanto della Trilogia della Vendetta, c’è la vendetta stessa, c’è la torta da mangiare di Lady, c’è il rapporto “sbagliato” Padre-ragazza come ci fu altrove quello di padre-figlia, c’è l’ nel laghetto come in Mister Vendetta, ci sono scene, sensazioni, ci sono i tuffi nel vuoto e chissà quante altre cose ancora.
Non è un film perfetto, come scritto il suo essere mix di tante cose lo promuove e lo peggiora allo stesso tempo. Si poteva asciugarlo di più forse, si potevano evitare alcune scene pressochè inutili (come quella di lui che va all’accampamento, già di per sè inutile, e stupra la ragazza), si potevano evitare certi eccessi macabri che un pò distraevano dalla possibile drammaticità del tutto.
Ma è sempre Park e la scena del mosaico che la vecchia guida con gli occhi e quel finale di abbacinante bellezza sotto un’alba distruttiva lo rendono un’altra perla di un regista incredibile.

Recensione: ilbuioinsala.blogspot.it

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By Anam

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