PIHU (SubITA)

Titolo originale: Pihu
Paese di produzione: India
Anno: 2016
Durata: 91 min.
Genere: Drammatico
Regia: Kapri Vinod

Unica protagonista una bimba di due anni che si trova in una situazione che un adulto affronterebbe certo in modo diverso, assolvendo cioé alle richieste funzionali che la situaziuone stessa richiede, ma la cui rappresentazione interiore, a ben vedere, non è dissimile da quella di un essere umano di qualunque età.

Pihu è un sogno a occhi aperti di pura angoscia quotidiana, una parabola minimalista che ha il coraggio di usare la semplicità come arma contundente. Nessuna orchestra di pathos, nessun adulto a schermare l’abisso: solo una creatura ancora in fasce gettata tra i rottami emotivi di un mondo adulto crollato su sé stesso.

Kapri Vinod costruisce il suo incubo con la precisione di un chirurgo apocalittico. L’appartamento, ordinario e claustrofobico, si trasforma piano piano in un teatro dell’assurdo dove ogni utensile da cucina è un’ombra di Thanatos, ogni suono elettronico è un canto funebre metallico che accarezza i nervi scoperti dello spettatore.

Non ci sono mostri, qui. Non ci sono invasioni aliene o spiriti che strisciano dietro le tende. Il nemico è il nostro stesso fallimento emotivo, il collasso invisibile delle strutture familiari, l’inerzia psicologica che diventa sterminio dolce. Ogni scena ci urla, senza voce, che il vero horror abita nei gesti mancati, nelle telefonate non fatte, nei rancori lasciati a fermentare dietro porte chiuse.

La scelta di lasciare sola sullo schermo una bambina reale, senza ricatti narrativi, senza sovrastrutture, è un atto di anarchia cinematografica. È cinema ridotto alla sua forma più brutale e primordiale: uno specchio davanti a un istinto, davanti al più crudo istinto di sopravvivenza.

Guarda anche  NAILS (SubITA)

Nel suo procedere lento e inesorabile, Pihu ci costringe a tornare bambini, a risentire il mondo come un magma indecifrabile di colori, suoni, minacce invisibili. C’è qualcosa di profondamente esoterico nella visione: la perdita della madre come la caduta nel vuoto del Sé, l’inizio di un viaggio iniziatico che, nella simbologia antica, corrispondeva al transito nell’ombra, alla discesa negli Inferi interiori.

In questo senso, Pihu non è solo una storia di abbandono: è un rito nero di passaggio, dove la protagonista — troppo piccola per capirlo — viene traghettata attraverso un mondo disintegrato in cerca di un nuovo archetipo genitoriale. Non ci sarà redenzione semplice. Nessun deus ex machina a placare l’ansia cosmica. Solo il peso metafisico del respiro, la fame, la sete, la fatica, come testimonianza estrema della carne contro l’entropia.

Kapri Vinod guarda tutto questo con l’occhio freddo di chi ha compreso il sottile orrore del nostro tempo: la disintegrazione dell’unità famigliare non come dramma sociale, ma come apocalisse interiore. E lo fa senza urlare. Senza spiegare. Lasciando solo la bambina — e noi — a fronteggiare il nulla.

In un’epoca dove il dolore viene edulcorato in serie TV rassicuranti e canzoni pop da classifica, Pihu è uno schiaffo mistico che riporta tutto alla radice: la fragilità, l’abisso e il miracolo dell’essere vivi in mezzo a un mondo che crolla.

Una visione senza anestesia. Una preghiera urlata dentro un frigorifero che si sta lentamente chiudendo.

 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.

Related Posts