LIMBO (SubITA)

Titolo originale: Limbo
Paese di produzione:
Anno: 2021
Durata: 118 min.
Genere: Drammatico
Regia: Soi Cheang

Un serial killer si muove indisturbato per le vie di Hong Kong. Sotto pressione, la polizia richiama in servizio il veterano detective Jin e gli assegna il caso da risolvere in coppia con il novellino Kai. Tuttavia, il di Jin torna a tormentarlo quando incontra Tao, la ragazza che gli ha ucciso moglie e figlio in un incidente. Per riscattarsi, Tao si offre volontaria per lavorare sul caso ma Jin non riesce a controllare l’odio che nutre verso colei che gli ha distrutto per sempre la vita.

Che fine ha fatto Hong Kong, ci chiediamo ogni tanto, tra una visione e l’altra. Quel cinema straordinario, ibrido, inclassificabile, sempre sospeso tra l’astrazione e la concretezza, la leggerezza e la densità, il e l’ di gravità. I grandi vecchi navigano a vista, fanno fatica o tacciono. Mentre le straordinarie folgorazioni degli scorsi decenni sembrano essersi smarrite nel dominio delle produzioni cinesi. E, forse, viene da pensare, il cinema di più autentico, oggi, sta nelle immagini dei sistemi di videosorveglianza o nelle sequenze “rubate”, quelle che sfuggono ai controlli, ai blocchi e alle censure, tra mascherine di e di pandemia. Qualcosa di “prodotto” arriva ancora, come Limbo, ma già il titolo sembra dare l’idea di una situazione di stallo, sospesa, una bolla soffocante da cui è difficile venire fuori. Del resto c’è sempre lo zampino cinese.

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Soi Cheang, dopo le parentesi di The Monkey King, torna al cinema thriller, quindi, in apparenza, a forme e formule collaudate. E, quindi, in un certo senso, persino innocue. Ma tra le righe, puoi leggere echi del presente, un’inquietudine difficilmente contenibile.
Stavolta la precisione di scrittura e “di programma”, quella che era al centro di Accident, cede il passo allo scavo del delirio, alla nevrosi di una coazione a ripetere, alla vertigine della violenza. E tutto si traduce in una forma che muta a ogni istante, nella frenesia ossimorica di momenti action che si congelano in sdoppiamenti, ralenti, epifanie e stati di sospensione.

Soi Cheang riscopre ancora una volta l’antica ossessione hongkonghese, da One-Armed Swordsman in poi, per l’arto mozzato, per il ferito, smembrato dai cut di montaggio. E fa di Wong To il personaggio centrale, simbolico, una specie di punchball umano, vessato e perseguitato da tutti. Polizia compresa. E non è certo un caso che sia proprio lei a indossare l’unica mascherina che si vede nel film. Stretta nella morsa, ma resistente. E se le dinamiche del thriller rimangono convenzionali e la forma appare estetizzante, resta negli occhi la visione, quasi “terminale”, di una alla deriva, sporca, disperata. Una metropoli di rifiuti e macerie, di tutto ciò che resta lì buttato dopo un disastro o un inferno. Un privato quasi di ogni forza vitale, smunto nel bianco e delle immagini.

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sentieriselvaggi.it

By Anam

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