J’AI PAS SOMMEIL (SubITA)

Titolo originale: J’ai pas sommeil
Paese di produzione: Francia
Anno: 1993
Durata: 107 min.
Genere: Drammatico,
Regia: Claire Denis

Dopo Chocolat (1988) e S’en fout la mort (1990), Claire Denis gira il suo terzo lungometraggio nel 1993, J’ai pas sommeil, che esce in Francia nel maggio 1994. Il film è presentato al Festival di Cannes nella sezione Un Certain Regard, che promuove opere originali e più audaci nei temi e nell’estetica rispetto ai film della Selezione Ufficiale. “Non ho sonno” è la frase che una donna molto anziana dice alla figlia nel film, esortandola ad andare a letto. Queste parole testimoniano un senso di urgenza di vivere, la di non perdere nemmeno una briciola dell’esistenza che sta scemando. È una perfetta introduzione al messaggio di Claire Denis. Il film nasce dall’incontro del regista con un recente fatto di cronaca: il caso Thierry Paulin, un serial killer responsabile dell’omicidio di una ventina di anziane signore a metà degli anni ’80 nel 18° arrondissement di Parigi, morto di AIDS in carcere nel 1989, prima del processo. Questo caso criminale ha ispirato il regista, non per un’indagine di polizia, ma come punto di partenza per un viaggio nell’animo umano. L’accoglienza della critica è stata molto positiva.

LA STORIA COME PRETESTO
Sebbene Claire Denis si sia ispirata a un fatto di cronaca autentico, alla fine si tratta solo di un sotterfugio, un punto di partenza per la finzione, come notano i critici. Su Les Echos, Annie Coppermann scrive: “Claire Denis non fa qui un “reality show”, né una ricostruzione poliziesca, né una controinchiesta, ma, tra testimonianza e finzione, getta il suo occhio che non insiste né giudica, ma cerca di capire o almeno di sentire. Inoltre, il personaggio di Camille, l’assassino delle vecchiette, interpretato da un attore esordiente e impressionante, Richard Courcet, è solo una delle figure (certamente in primo piano) nella coreografia di destini che il regista ordina. La regista “non racconta la storia di un assassino o della sua serie di omicidi (anche se ne mostra diversi), ma piuttosto la vita di alcune persone sradicate e bisognose d’amore”, afferma la giornalista. Pascal Mérigeau in Le Monde condivide questa opinione: “J’ai pas sommeil è un film senza suspense, senza indagini, quasi senza poliziotti. Michel Pascal (Le Point), analizza: “È perché non c’è mai un processo Paulin che Claire Denis si è sentita in diritto di filmare, con pudore e franchezza, il lato in di un mostro comune, un predatore che si prende la sua parte di bottino attraverso il crimine per raggiungere il suo posto al sole”. Rifiutando la deriva spettacolare o sordida che il suo soggetto potrebbe provocare”, aggiunge Les Inrockuptibles, “Claire Denis ha cercato di filmare il peso della carne e dell’umanità che esiste sotto la superficie della notizia.

UN TESSUTO SOCIALE IN SOFFERENZA
Camille, l’assassino, un giovane omosessuale delle Indie Occidentali con un nome che è sia maschile che femminile, si traveste di notte per concedersi sensualmente al suo pubblico. Durante il giorno, strangola anziane per somme talvolta irrisorie. Questi reati non sono di sessuale. Molti critici fanno una lettura sociologica del film di Claire Denis. Secondo Le Figaro, “non è un eroe o un antieroe che il regista ha voluto ritrarre, ma una ‘disfunzione’ che sconvolge parenti, società e spettatori”. Lo pensa anche Pascal Mérigeau, che scrive su Le Monde: “J’ai pas sommeil mostra come le disfunzioni e le carenze di una società possano portare sull’orlo di un abisso in cui finiscono per sprofondare alcune persone, che vengono poi descritte come ‘mostri’ perché la definizione è comoda e rassicurante. Infatti, come sottolineano i Cahiers du cinéma, “tutti i personaggi, e in particolare quelli al centro della maglia che il regista tesse intorno al 18° arrondissement (un quartiere particolarmente misto), sono a loro modo esclusi dal gioco sociale, sono clandestini, esiliati, costretti a inventare le proprie regole, a costruirsi o a iscriversi in un mondo parallelo”. Le Canard enchainé riassume la posta in gioco del film in una frase: “il pretesto è Thierry Paulin, un assassino di vecchie signore; il soggetto è la grande città malata e perduta, le reti che si intrecciano, la notte, la paura”.

DESTINI INCROCIATI
Claire Denis orchestra ogni sorta di incontri e coincidenze intorno al personaggio di Camille. C’è una giovane donna lituana, Daïga (Katerina Golubeva), arrivata a Parigi senza un soldo per trovare un regista che le ha fatto vaghe promesse. La ragazza si reca in un albergo gestito da Ninon (Line Renaud, la cui notevole composizione è stata elogiata dalla stampa), una vecchia amica della prozia, dove vive anche l’assassino. E c’è Théo (Alex Descas), fratello maggiore di Camille, musicista integerrimo e padre esemplare, che vuole tornare in Martinica contro il parere della moglie Mona (Béatrice Dalle). “Come nel suo film precedente, S’en fout la mort, ma qui a un livello di intensità molto più alto, ciò che interessa alla cineasta qui”, osserva Les Cahiers du cinéma sotto la penna di Thierry Jousse, “è la circolazione dei flussi, il traffico dei corpi e delle coscienze, la condensazione delle relazioni sociali e sessuali, il desiderio dell’altro e l’alleanza degli opposti, il mistero persistente dei comportamenti”. Le Monde concorda: “Ai piedi del Sacré-Cœur, i personaggi, riuniti per caso in questo quartiere di Parigi filmato con un bisturi, danzano un terrificante balletto di solitudine e morte. Passando continuamente dall’uno all’altro, Claire Denis tesse la rete in cui uno di loro finirà per rimanere impigliato. Didier Roth-Bettoni in Le Mensuel du cinéma fa la stessa osservazione: “È il tour de force del film di Claire Denis saper lasciar scivolare via storie che non sono storie, afferrare personaggi per poi lasciarli fuggire senza dire nulla del loro mistero, sembrare legare per un momento destini che tutto indica non avere futuro se non nell’assolo.

IL RITRATTO DI UNA CITTÀ
Claire Denis ha ambientato la sua trama nel 18° arrondissement di Parigi, poiché è in questo quartiere che Paulin ha commesso la maggior parte dei suoi crimini. La città è molto presente nel film. In effetti, i critici notano che è molto più di un’ambientazione o di un paesaggio. Per Le Monde, “il film è il ritratto di un assassino, senza dubbio, ma anche di una città”. Per Télérama, la regista ci porta “in un viaggio in un territorio sconosciuto… il 18° arrondissement di Parigi, che assume per lei l’aspetto di un labirinto”. Les Inrockuptibles sottolineano: “Essendo lei l’ex assistente di Wenders, la trama è anche un pretesto per una bella passeggiata poetica nel 18° arrondissement, pieno di vite contrastanti. Poesia, infatti, in questo quartiere pittoresco e molto parigino, ma anche angoscia, che si avverte a ogni angolo di strada. Le Monde paragona il Sacré-Cœur, molto presente nell’immagine, a “una grande, preoccupante e malvagia meringa”. Per Télérama, il cuore geografico del film è l’hotel in cui vivono Camille e la sua amica. È “sia la tana del mostro che il luogo in cui si incontrano sconosciuti e persone sole”. I sordidi omicidi di Paulin/Camille sono perpetrati in una Parigi in cui le persone possono scomparire nell’ generale. Così, J’ai pas sommeil, questo “film bello e velenoso” (Le Monde) riesce a creare un clima ipnotico. “Il film vaga in zone improbabili e dice molto sui nostri tempi senza indulgere in un’eccessiva inquietudine”, conclude Axel Boudu nella rivista Cinéma.

UNA NARRAZIONE SOTTILE
I critici concordano sul fatto che il film di Claire Denis ha una costruzione sottile e delicata, ricca di colpi di scena. Per Le Mensuel du cinéma, “ci sono mille momenti in J’ai pas sommeil, tracce che si perdono rapidamente, altre che vengono attraversate per un momento, false piste o strade secondarie, personaggi principali che alla fine attraversano lo schermo solo come attraversano la vita, figure che si accontentano e raccontano le loro storie, come il personaggio interpretato da Line Renaud che torna nel suo passato”. Positif è d’accordo: “Tutto riguarda la struttura della sceneggiatura. Moltiplicando i personaggi e introducendo sempre nuovi elementi, il regista riesce a sospendere il più a lungo possibile il completamento degli incontri che determinano l’unità della storia. L’architettura, come possiamo vedere, è leggera e il tocco sottile. Claire Denis filma finemente le peregrinazioni dell’assassino, attraverso le notti e i giorni. Le Mensuel du cinéma parla di “queste derive che la macchina da presa di Claire Denis coglie, segue e abbandona da un capo all’altro del suo film, in lunghe inquadrature itineranti, in lunghe scene incidentali e quasi mute, in cui ci mette per un po’ (lo spazio di un minuto, di un’ora, di una vita) di fronte a esseri solitari, nudi, sconosciuti…”. La narrazione è molto sottile. “La costruzione del film è come un collage o un patchwork, pur dando una sensazione di grande omogeneità, senza dubbio perché la narrazione ha un centro di gravità che scopriamo man mano che il film procede”, osservano Les Cahiers du cinéma, continuando: “la fiction è costruita intorno a punti focali, poli di decentrati, piuttosto che intorno a un unico centro”. Così la sceneggiatura intreccia tre livelli narrativi, più una manciata di micro-trame, che si alternano e si intersecano nel corso di una durata che segue un percorso piuttosto sinuoso. Ognuno di questi livelli ha un proprio personaggio: Daïga, Camille, Théo. Questi tre esseri sono il crocevia della narrativa e hanno molteplici satelliti. Le Point nota anche che la storia procede a cerchi concentrici, dalla tangenziale al cuore dei segreti di un assassino.

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UNA STRANEZZA INQUIETANTE
L’opinione generale è che J’ai pas sommeil sia fatto di uno strano materiale che sfugge a ogni logica. Il film, pieno di “esplosioni di amore e di amicizia, di scambi di affetto e di violenza, di destini incrociati da incontri casuali” (L’Événement du jeudi), non spiega nulla, non giustifica nulla. “Tutti gli atti (compresi gli omicidi) sono filmati con una sorta di distanza quasi negligente, una sensazione di atonalità drammatica”, scrive Thierry Jousse in Les Cahiers du cinéma. I critici notano questa sensazione di fatalità e l’assenza di giudizio morale alla base del film. France-Soir, che sottolinea come il regista sia “abituato a film con personaggi erranti, clandestini o marginali”, osserva che l’atmosfera è così anti-drammatica che il film dà l’impressione di essere sonnambulo. Quasi staccato. Un’opinione condivisa da Les Cahiers du cinéma, per i quali la messa in scena non offre mai allo spettatore la minima possibilità di identificazione o di rifiuto violento, né tantomeno di attraverso un qualsiasi tipo di catarsi. Le Mensuel du cinéma scrive: “strana storia, strani passanti: di questa stranezza da cui nasce il disordine, di questa stranezza che inquieta quanto incuriosisce, di questa stranezza che disturba perché esplora zone d’ senza cercare di capirle o di imparare da esse”. Le Point conclude: “J’ai pas sommeil assomiglia alla superficie di uno stagno disturbata dal lancio di una pietra. Alla fine l’acqua torna a essere liscia, ma il mistero rimane, sepolto nel fango. È per questa opacità preservata, in un clima realistico in cui non ci sono né buoni né cattivi, che il film di Claire Denis è un capolavoro che fa lavorare i nervi dello spettatore in profondità. E aggiunge: “È un film delicato che fa male”.

AL DI LÀ DEL BENE E DEL MALE
Alcuni critici sono sorpresi, persino scioccati, dalla deliberata neutralità con cui Claire Denis affronta la personalità dell’assassino. In effetti, il personaggio di Camille non viene trattato in modo diverso dagli altri, non viene stigmatizzato in alcun modo per le sue azioni criminali. Secondo Philippe Royer su La Croix, questa neutralità è “ambigua e globalmente inquietante, perché pone tutti gli atti di Camille (fare festa, mangiare, uccidere) sullo stesso piano, come uguali tra loro”. Jeune cinéma condivide questa opinione, scrivendo “il problema è che a forza di ‘cancellare’ l’altro lato del personaggio di Camille (quello dell’assassino), egli diventa un’ombra, non appare né buono né cattivo, né realmente motivato (nei suoi omicidi), ma né questo né la perversione dell’uccidere vengono analizzati. Il personaggio è troppo “normale”, privo di spessore”. “Amorale, non immorale”, afferma Valérie Duponchelle su Le Figaro, in accordo con il regista, “che ha rintracciato l’intima frontiera del Bene e del Male in ognuno dei personaggi”. Certamente, come in Chocolat e S’en fout la mort, “la cinepresa di Claire Denis si immerge in zone problematiche. Ci porta ai confini della vita e della morte, del bene e del male, dove le sabbie si spostano e i confini sono instabili”, osserva Télérama. La personalità di Camille rimane opaca. A un certo punto, si spinge verso il crimine, oltrepassando la linea di confine tra il bene e il male. Il regista non risolve l’enigma di questo passaggio all’atto. Positif se ne rammarica, affermando: “C’è indubbiamente una certa eleganza nel nascondere il mistero del male nell’inafferrabile mondo di tutti i giorni, nel negargli la drammaticità e quindi la notiziabilità. Ma c’è una certa vigliaccheria intellettuale nel lasciare a se stesso l’enigma che unisce la persona comune e il criminale. La sottigliezza sfiora il sotterfugio. Le Nouvel Observateur va nella stessa direzione, criticando il film per la sua mancanza di chiarezza e il suo modo di “glorificare un assassino, ma soprattutto per non avere alcun tipo di punto di vista chiaro su di lui, né sulle sue vittime”. Per Le Monde, si tratta di un film ovattato, “in cui ogni scena di violenza è mostrata come un rituale e, già, un’autopsia, in cui ogni personaggio può passare da a carnefice in qualsiasi momento, senza che nulla, né psicologicamente né moralmente, lo faccia necessariamente presagire”. È di questo che stiamo parlando, di questa zona impenetrabile di opacità che si trova nel cuore di alcuni individui. Ciò che alcuni apprezzano in J’ai pas sommeil, ovvero i temi cari a Claire Denis, “l’alterità, la difficoltà di vivere tra persone che non ti somigliano” (La Croix), altri lo rifiutano: “J’ai pas sommeil è del tutto rappresentativo di un cinema che sembra temere maledettamente la chiarezza, come se la umana non potesse sopportare una semplice battuta senza essere rimproverata di essere un cliché”, scrive Alain Riou su Le Nouvel Observateur.

UN MODERNO FILM
La maggior parte dei critici riconosce nel film di Claire Denis l’espressione di una visione intensa e personale. Per Les Cahiers du cinéma, il regista “reinventa il paesaggio della fiction nel cinema francese”. “Film serio e cupo perché parla della solitudine, che non è altro che un apprendistato alla morte, dell’egoismo, che non è altro che un altro nome della solitudine” (Le Mensuel du cinéma), J’ai pas sommeil è anche talvolta “un film divertente”, o che sappia avere un senso acuto dell’esistenziale derisorio, dell’assurdo” scrivono Les Cahiers du cinéma, precisando che il titolo del film è allusivo, perché “c’è davvero qualcosa che non lascia tregua in questo film intrigante”. La rivista considera quest’opera addirittura un film moderno, cioè “di oggi, senza segni o feticci dell’epoca”. Un film nel senso che offre una visione urbana molto originale, “fatta di intensità e invisibilità”, basata su una trama poliziesca, in cui la musica e la danza sono onnipresenti. Ancora un film noir, in questa ricerca delle zone d’ della società, abitate da emarginati e trascurati. J’ai pas sommeil è in definitiva “il frutto di un innaturale e sottilissimo connubio tra caldo e freddo, tra intensità emotiva e sguardo distaccato, tra stelle e sconosciuti, tra romanticismo e modernità, che gli conferisce originalità e mistero”. Come un enigma irrisolto, che rimane tale fino alla fine, e che continua a irradiare molto tempo dopo” (Les Cahiers du cinéma).

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(https://www.cinematheque.fr/)

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