HOMO SAPIENS

Titolo originale: Homo sapiens
Paese di produzione: Austria
Anno: 2016
Durata: 94 min.
Genere: Documentario
Regia: Nikolaus Geyrhalter

Homo sapiens, ultimo parto creativo di Nikolaus Geyrhalter, è un mosaico elegiaco muto e potente, raffinato e straziante, minimale e pittorico, ode ancestrale all’uomo pronta a fare emergere tutta la nostra fragile finitezza mostrando l’incuria verso ciò che abbiamo costruito e poi abbandonato. Nella sezione Forum della Berlinale 2016.

Il cimitero del sole
Nikolaus Geyrhalter dipinge un contesto disturbante nel quale il mondo costruito dalle persone è lentamente vinto dalla natura. In uno scenario contemporaneo eppure post-apocalittico, si incontrano documentario e fantascienza per ragionare sul ruolo dell’uomo nel mondo. [sinossi]

L’uomo crea, forte della convinzione che le sue opere gli sopravviveranno. Salvo, troppo spesso, dimenticarsene subito dopo averle concluse, lasciandole all’incuria del tempo e alla riappropriazione della natura. Homo Sapiens, ultima fatica del documentarista austriaco Nikolaus Geyrhalter, presenta la realtà come uno scenario post-apocalittico, meticcia il documentario con la fantascienza, gira il mondo alla ricerca delle nostre idee architettoniche difficoltosamente realizzate e poi lasciate come cadaveri sul territorio, metaforizza la nostra fine, si interroga sul nostro rapporto con il mondo, si rivolge poeticamente all’umanità e al suo ruolo. Geyrhalter si muove attraverso la nostra pigrizia, il nostro menefreghismo, la nostra corsa alla novità a costo di abbandonare senza rimpianti il nostro progetto precedente, danzando sul confine slabbrato fra la terrena finitezza e una divina tensione all’infinito. La sedentarietà dell’uomo è contrapposta alla sua assenza, in uno straordinario film-saggio sullo spazio, sul tempo e su un’umanità inebetita e forse impotente dinanzi a ciò che rimarrà dopo la nostra scomparsa dal pianeta. E in effetti non c’è quasi più nulla, nel minimalismo di Homo Sapiens: manca ovviamente l’uomo, le cui forme sono suggerite solo da un mosaico semidistrutto; manca il sole, coperto da una costante coltre di nubi pronte ad avvolgere la terra e a bersagliarne la solitudine con pioggia e neve; manca la parola, ridotta ormai a inutile orpello su cartelloni pubblicitari che nessuno leggerà mai più. C’è però ancora il vento, c’è ancora l’acqua, ci sono ancora le erbacce, c’è ancora il guano che ricopre beffardo le nostre monumentali dimenticanze. C’è la natura, c’è la vita delle piante che disordinatamente riprendono possesso del territorio e degli uccellini, superstiti di un mondo sovrastrutturato e poi dimenticato dall’uomo, testimoni e nuovi proprietari di un pianeta abbandonato e cimiteriale. Perché l’uomo ha cambiato e continua a cambiarne profondamente la morfologia, ma la Terra andrà avanti anche dopo di noi, con i segni del nostro passaggio come sue caratteristiche e cicatrici.

Nikolaus Geyrhalter, alternando raffinatissimi quadri fissi di chiara ispirazione pittorica, porta sullo schermo varie parti del mondo con l’intento di creare un unico possibile scenario futuro: un mondo devastato, abbandonato, nel quale la vegetazione si impossessa delle case e dei monumenti, l’asfalto si rompe, le nostre opere sono in decadenza. L’era industriale è finita, si è estinta, e con lei i suoi prodotti e i suoi luoghi, drammaticamente pronti a dimostrare tutta la propria -e nostra- fragilità. Vediamo un parco acquatico abbandonato con cumuli di foglie morte al posto dell’ in piscina, sul quale ancora troneggiano un colossale scivolo e gli inutili cartelloni con i prezzi dei gelati; vediamo una chiesa in rovina con gli affreschi ridotti a calcinacci, a riprova che neanche la né l’arte possono farci recedere dall’incuria; vediamo un ospedale senza più nemmeno i materassi sulle strutture dei letti, segno del nostro passaggio e della nostra fine; vediamo complessi industriali e centrali nucleari che giacciono morti senza più fumo dalle ciminiere; vediamo una piattaforma petrolifera che troneggia in mezzo al mare con la marmorea imponenza di una pietra tombale; vediamo un cinema ormai allagato, sorta di laghetto dal quale ormai spuntano poltrone che nessuno occuperà più e uno schermo destinato a rimanere bianco, non più fabbrica di sogni perché non c’è più nessuno disposto a sognare. Ma Homo Sapiens non è certo un pamphlet nichilista, quanto piuttosto un’ode all’ umano, un invito a fare in modo che queste immagini liquide quanto stranianti rimangano un film, un campanello d’allarme sulla direzione che sta prendendo il mondo. Quello di Nikolaus Geyrhalter è un affresco apocalittico che si rivela come un film-mondo, fotografia di quel set che ci siamo costruiti intorno nel corso delle nostre vite e che ora riposa come i tristi fondali abbandonati di Cinecittà, eroso dal tempo e dalla natura che torna selvaggiamente a occuparlo.

Film di spazi, Homo Sapiens è in primo luogo uno spazio. Cinematografico, (a)temporale, una lotta per la che si lancia in avanti per poter guardare al mondo retrospettivamente. Un film complesso, visione futura del nostro habitat in cui la natura torna a piangere, urlare per sopravviverci, un film in cui alla selvaggia cementificazione autoreferenziale con la quale quotidianamente ci celebriamo senza il minimo rispetto per l’ambiente deve necessariamente fare seguito un’amara desertificazione, un film in cui il fuoricampo è importante quanto e forse ancor più di ciò che viene mostrato: appena fuori dai bordi dell’inquadratura, infatti, ci siamo noi, gli uomini, ingegnosi architetti trafitti dalla nostra stessa incuria. In un certo senso, vedere questo futuro ipotetico e ancestrale del nostro pianeta è un po’ come guardarci allo specchio, la rovina dei nostri luoghi come le rughe sui nostri volti, il nostro poco rispetto per il mondo come il lento e inesorabile scorrere dei segni del tempo. Homo Sapiens è un film profondo e in costante crescendo, un manuale di fotografia e di montaggio, un abbraccio disilluso ed emozionato ad un’umanità in altalena fra l’occupazione e l’abbandono. Con un audio tecnicamente impeccabile in Dolby Atmos, i paesaggi si alternano nello scorrere dell’acqua, nelle grida del vento, nel canto degli uccellini che tornano a occupare ciò che noi abbiamo preferito accantonare. Nikolaus Geyrhalter si affida alla potenza insita delle immagini, sublime veicolo di emozioni in grado a volte di prescindere dalla parola, superarla, renderla superflua. In principio era il Verbo, del resto, ma oramai non c’è più spazio neanche per quello. Rimane solo il gelo, la pioggia, la nebbia, uno schermo avvolto dalla foschia che ritorna bianco. E tocca a noi ricominciare a dipingerlo, prima che sia troppo tardi.

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