FUGA [SubITA]

Titolo originale: Fuga
Nazionalità: Argentina, Cile
Anno: 2006
Genere: Drammatico
Durata: 110 min.
Regia: Pablo Larraín

Eliseo Montalbán (Benjamín Vicuña) è un giovane compositore che ha subito un trauma e nel quale – in seguito alla misteriosa morte della pianista durante la prima di un sua composizione – si risveglia la memoria della violenza che subì sua sorella, violentata e uccisa su un pianoforte, portandolo alla follia. Finisce così in un manicomio, scomparendo al mondo, finché un musicista mediocre, Ricardo Coppa (Gastón Pauls), nel tentativo di ricostruire la sua ultima composizione perduta, si mette alla sua ricerca. 

Il primo film, quasi sconosciuto, di quel grandissimo regista che è Larrain. E’ tutto fuorchè un’opera prima sembra questo Fuga, opera dura, ossessiva, sofferta, sulla storia di un musicista e del suo componimento maledetto, un componimento nato da un terribile fatto di sangue nel suo passato. Musica che è vita e morte, riparo e dannazione. Sì, Larrain era già grande.

Attenzione: presenti spoiler!

“Voglio dirigere un concerto per pianoforte e orchestra” Questa la prima frase della prima inquadratura del primo film in carriera di Pablo Larrain. Nemmeno un secondo nel mondo del cinema e c’è questa frase. “Voglio dirigere un concerto per pianoforte e orchestra” A pronunciarla è un nemmeno trentenne musicista. Ecco, mi piace pensare che questa prima frase di questa prima inquadratura di questo primo film di Larrain -detta poi da un personaggio praticamente coetaneo del regista (all’epoca aveva 28 anni) – sia il manifesto dello stesso regista, il suo immediato presentarsi, il suo comunicarci intenti ed ambizioni. Quel musicista giovanissimo è il regista che ha già in testa la grandezza di quello che potrà fare. E, proseguendo la metafora, dobbiamo dire che sì, che il talento nella musica di Eliseo Montalban è pari a quello nel cinema del suo “pigmalione” (passatemelo) ed alter ego Pablo Larrain. A 28 anni sapeva già quanto grande poteva diventare.

E ci regala un film che non è un’opera prima, che non è acerbo, che non è sperimentale, che non è un gioco d’esordio. No, è la prima sinfonia di un direttore d’orchestra che vuole tutto. E può tutto. Praticamente introvabile e sconosciuto Fuga è, se ancora non l’avevate capito, il primo film di Larrain, regista capace con la stessa maestria di raccontare le laidezze del più piccolo uomo e quelle del più grande Stato, un giocoliere che continuamente restringe e allarga, microscopie che possono esser lette come macroscopie e viceversa. Questo è un grande, grandissimo esordio. Paragonabile, per trama e suggestioni, a Shine, credo che Fuga sia un’opera di spanne superiore, priva di qualsiasi retorica, dura, vera, e per niente consolatoria come sempre -fino forse ad esagerare in questo aspetto- è il cinema di Larrain, un cinema dove spazio per salvezze e riscatti personali ce ne son poche, dove i protagonisti finiscono in spirali senza via d’uscita, dove fallimento, e debolezze umane la fanno da padrone. Fuga è un grande film che parla di musica, musica che è insieme salvezza e dannazione, vita e morte, scintilla e spegnimento.

Eliseo Montalban è un giovanissimo musicista che da piccolino è stato testimone di un fatto devastante, lo stupro e l’omicidio della sorellina. Quel pianoforte che si lorda di sangue diventerà al tempo stesso attrazione incontrollabile e repulsione fortissima. E così sarà per tutta la sua vita. Comporrà solo un’unica grande partitura, Rapsodia Macabra, un brano dolente, sofferto e violento a volte. La frase che ho riportato all’inizio a questo si riferisce, al voler realizzare un concerto con quello spartito. Il concerto ci sarà ma, ancora una vola, diverrà simbolo di morte. Montalban sprofonda.

In un’altra temporalità, l’oggi (ma di pochissimi anni successiva), un pianista privo di talento riesce a ritrovarsi tra le mani quell’opera maledetta. Incompiuta però. Prima prova maldestramente a completarla da solo e poi, con l’ di altri musicisti, si mette alla di Montalban, convinti che quest’ultimo sia ancora vivo. Molto curioso come Fuga possa richiamare moltissimo quel mezzo capolavoro horror che è Cigarette Burns di Carpenter. In quel caso c’era un film maledetto, proiettato una sola volta. Qui abbiamo un’opera musicale suonata una sola volta e maledetta allo stesso modo. E in tutti e due i casi il film racconta di un’ossessione, quella di possedere l’opera. Ma qui abbiamo una doppia ossessione, sia quella di Ricardo Coppa, il musicista senza talento, che ricerca la parte mancante dello spartito, sia quella dello stesso Montalban che quella melodia accompagnerà tutta la vita. Raramente vedrete la musica raccontata al cinema in questa maniera, raramente film riescono a trasmettere in maniera così viscerale al potenza che può avere una melodia (la morte della pianista è emblematica in questo), questa commistione di vita e morte, riparo e dannazione. Larrain usa anche una scena alla Shining (il lago di sangue che esce dal pianoforte) per farci capire fino a che punto Montalban sia posseduto da quella musica e dai terribili ricordi che gli evoca. Il personaggio di Coppa, invece, è molto ambiguo. A tratti pare quasi un truffatore, altre volte, invece, uno che veramente farebbe di tutto per far conoscere Montalban e riuscire a salvarlo, farlo uscire nuovamente fuori. Al solito gli attori di Larrain son perfetti, Benjamin Vicuna (Montalban) eccelle. Ed ecco che ad un certo punto viene fuori anche la fantastica coperta di Linus di Larrain, Alfedo Castro. E, ancora una volta, l’attore cileno si dimostra grandissimo anche se, devo dirlo, per me tutta la parte nell’ospedale psichiatrico è la più debole (e, per 10 minuti, i provini ad esempio, anche troppo leggera, abbassa la tensione).
Potentissima e quasi struggente però la scena del concerto dentro il carcere con Castro che, invece di fuggire come avrebbe potuto, porta il corpo dell’amico morto nel prato. Tra l’altro per la terza volta il componimento di Montalban, la Rapsodia Macabra, sarà sinonimo di morte, pazzesco.

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Più di una volta Larrain si affida ad un montaggio alternato tra le due temporalità, in almeno un paio di casi davvero perfetto (vedi il concerto mentre Coppa tocca le sul muro dell’ospedale). Sulla colonna sonora, ovviamente, c’è poco da dire, è motore e protagonista del film stesso. C’è una scena che mi ha messo un dubbio atroce. Quando torniamo sul flash back principale, quello dell’omicidio della sorella (vero e proprio fatto scatenante di tutto) Eliseo si ferma davanti al pianoforte, guarda lo spartito e suona le prime 3 note di Rapsodia Macabra. Mi sembra assurdo che quella composizione non l’abbia scritta lui ma fosse quella che stava suonando la sorella. Credo più o che quelle tre note gli siano venute fuori al momento, col suo talento, 3 note di morte venute fuori da quello che aveva visto, oppure che il flash back “reale” si sia mischiato nella testa di Montalban con la melodia che scriverà negli anni successivi. In ogni caso un grande film, non perfetto, un film ossessivo, sofferto, che si muove tra grandi palchi teatrali e squallidi e poveri interni. Fino ad arrivare ad un finale che è al tempo stesso bellissimo ma anche abbastanza troppo costruito e forzato (perchè li lasciano su quella chiatta in mezzo al mare? perchè lei si rifiuta di dare un semplice bacio e reagisce in quella maniera? alla fine erano arrivati alla fine della loro impossibile, invece che essere contenti sembrano diventati pazzi senza alcun motivo).

Però Montalban sulla spiaggia, Montalban che decide, forse, di riprovare a vivere, Montalban che interrompe la melodia e che poi, però, come un pianista sull’oceano, si mette a suonare la parte mancante. Fino a quello che accadrà. E a quell’andar giù giù attaccato alla sua maledizione. Attaccato alla sua vita. Attaccato alla sua morte.

Recensione: ilbuioinsala.blogspot.it

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