
Titolo originale: Foxfur
Paese di produzione: Stati Uniti
Anno: 2012
Durata: 61 minuti
Genere: Fantastico, Sperimentale, Fantascienza
Regia: Damon Packard
Sinossi:
Foxfur è una giovane donna instabile, ossessionata da cristalli, delfini, contatti extraterrestri e teorie del complotto new-age. La sua realtà si frantuma quando scopre che due celebri teorici UFO, Richard Hoagland e David Icke, sono scomparsi; spinta dal panico e dal desiderio di verità, Foxfur intraprende un viaggio attraverso dimensioni parallele, luoghi comuni del capitalismo e mondi sovrapposti, precipitando in un vortice che potrebbe essere “la zona morta” di un tempo che non avrebbe dovuto esistere.
Recensione:
Signore e signori, benvenuti nell’anticamera del cervello di Damon Packard. Foxfur non è un film: è un dispositivo di visione che implode la ragione e ci trascina nell’interzone tra paranoia, e dissoluzione dell’identità. Qui la protagonista, Foxfur, diventa lo “specchio mutante” di uno spettatore che ha smesso di separare il reale dal finto, l’equilibrio dal collasso. È un atto di ribellione estetica contro la logica dello streaming, del remake, del “genere sicuro”.
Packard, regista outsider dell’underground hollywoodiano, costruisce un palinsesto di fratture: molte attrici interpretano Foxfur, non per bug del budget, ma come frammenti dell’io che non può più essere uno. Il viaggio verso una libreria new-age (“The Bodhi Tree”) diventa rito dʼiniziazione; la scoperta che Icke è al banco della cassa è gesto di blasfemia contro la nozione stessa di autorità credibile. E quando Foxfur viene sfrattata, la fuga nel Malibu Creek State Park del 1982 (o laddove l’ecologia del trauma ha lasciato traccia) si fa parabola sulla fine dell’utopia.
Lo stile è low-budget, ma questa scelta è misura di verità. Telecamera tremula, montaggio che salta, collage di media, cameo invisibili di Hoagland e Icke: tutto amplifica l’effetto dislocante. Non è cine-terrorismo, è un’inchiesta socio-morfologica sul “tempo non pensato”, sulla zona morta che si apre tra ciò che “dovrebbe” accadere e ciò che “accade realmente”. Il sangue che appare, la trasformazione finale di Foxfur in un Robin Hood femminile, la scena del bus-crash: non sono twist per intrattenimento, ma segni di un mondo che rifiuta di essere narrato.
Il film si collega alla cultura della congiura: Packard la supera non nei contenuti ma nella forma. L’ossessione New-Age diventa micro-regime, l’UFO diventa corpo straniero che assedia l’identità dell’umano. Foxfur è la vittima, ma anche la cospiratrice: lei “vede” l’energia sensiente dietro lo schermo del reale e ne paga il prezzo. Lo spettatore lo segue, e nel farlo diviene complice.
Se cerchi un film che rispetti le regole del genere, cerca altrove. Foxfur viola ogni contratto. È caos messo in quadro, è il rito del no-budget che si fa voto. È la dimostrazione che anche nell’era del blocco produzione — con niente o quasi — l’impero del cinema commerciale può ancora ricevere una scossa. E che lo spettatore può ancora essere sfidato.
