WRONG [SubITA]

Titolo originale: Wrong
Nazionalità: Francia
Anno: 2012
Genere: Commedia, Giallo, Grottesco, Visionario
Durata: 94 min.
Regia: Quentin Dupieux

Un uomo si sveglia e scopre che il suo cane è stato sequestrato, poi va a lavorare in un ufficio dal quale è stato licenziato mesi prima: è l’inizio di una serie di situazioni sempre più paradossali. (dal catalogo del TFF)

Opera quarta (dopo Nonfilm, Steak e Rubber) di Quentin Dupieux, aka Mr. Oizo, musicista e filmmaker (regista, sceneggiatore, montatore, direttore della fotografia) francese. Celebre per la campagna Levi’s incentrata su Flat Eric e uomo della scuderia Partizan, Dupieux s’esercita con costanza in un neosurrealismo sghembo e ultrapop, tra la bande dessinée e lo spot, lavorando su adesioni e scollamenti tra ipotesi di realtà, estetica ed pubblicitaria e genere hollywoodiano (microgeneri indie compresi). In Wrong i dolci terremoti e gli scontri violenti tra queste organizzazioni del mondo producono un nuovo, paradossale microcosmo dotato di leggi proprie, eppure tangibilmente memori di un prima, di una differente premessa, di un altro stato delle cose. C’è sempre un senso di sostituzione, di un tempo passato, di un reale coperto e soffocato dall’attuale surreale nei film di Dupieux, un sentimento che precipita in questa ricreazione in forma d’angosciosa sensazione di complotto, e che qui s’adagia goffa nell’organizzazione che rapisce il cane di Dolph al semplice scopo di indurre il protagonista a riconsiderare l’affetto per il proprio animale domestico. Come la rieducazione coatta per una marionetta nelle mani di un grande burattinaio (qui un capace di telepatia canina e omicidio a mani pulite): c’è, In Wrong, il senso pienamente contemporaneo di un onnipresente senso ulteriore, c’è la caricatura, lo sfregio della figura ricorrente dell’esperto, monstrum rassicurante, restauro di un’informazione coesa e autorevole all’epoca della dispersione. Dolph è un mediocre eroe dei nostri tempi mediocri, incarnazione di una delle possibili rappresentazioni della disoccupazione: impossibilitato a strutturare il proprio mondo, il proprio tempo, secondo la logica ordinata del Capitale, poiché espulso dal processo produttivo, si trova a domare il caos di questo mondo libero, a riassorbire nella logica (un Ordine Simbolico che è sovrastruttura capitalistica) l’illogica. Sveglia alle 7.60, poi al lavoro per non lavorare, ma per riordinare il proprio tempo.

Fingere, per non sentire la vertigine, l’abisso e la solitudine dell’uomo tra occupazione e disoccupazione, tra un’alienazione e l’altra. Fingere e credere. C’è un viziato, sbagliato atto di fede alla base di Wrong: da Dolph ai lavoratori che producono nella pioggia incessante dell’ufficio come se fosse condizione normale, dall’impiegata ninfomane della pizzeria d’asporto disposta a vedere Dolph e il suo giardiniere come la stessa persona alla sostituzione naturale di una palma con un abete. Wrong è la della sospensione dell’incredulità all’interno della vita quotidiana, la disposizione immediata alla credenza e all’annichilimento del pensiero critico come strategia di sopravvivenza. Non tanto la vittoria del simulacro sul reale. Ma una necessità alla simulazione che esiste dentro l’uomo: quel che Lynch metteva alla prova nel turning point di Strade perdute, quel che lega i frammenti discordanti nel capolavoro di Pàlfi The Final Cut, quel che ci permette di entrare in medias res nelle storie di Holy Motors e immaginare un ipotetico prima, un ipotetico dopo. Attivare e riattivare narrazioni inesistenti. Credere a quello che non c’è, creare presupposti per resistere all’entropia. La logica della simulazione non è oltre. E’ dentro. Altrimenti, c’è – lo testimonia il vicino di casa di Dolph – la deriva, la mancanza di coordinatespazio/temporali. La perdizione. Va da sé che – come in quel gioco di scatole cinesi, tripudio di speculazione esponenziale e che è 7 psicopatici – l’uomo cerchi appigli, oltre la struttura delle proprie menzogne. Trovandolo in un affetto primario: quello per un cane. Verità emotiva, prima che status symbol, sentimento primitivo prima che costruzione sociale. Oltre la simulazione. Così, quello che pare un decerebrato e ambizioso trastullo stilistico, tra la sitcom post tutto, il noir demenziale e un bignami di Lynch for dummies, quello che sembra un sollazzo weird programmatico al color pastello, è (invece o anche, poco importa) un racconto morale acutissimo sul presente, la cristallizzazione in barzelletta risibile dell’aria del tempo.

Guarda anche  THE COVE [SubITA]

Recensione: spietati.it

 

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By Anam

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