DARLING [SubITA]

Titolo originale: Darling
Nazionalità: USA
Anno: 2015
Genere: Horror
Durata: 78 min.
Regia: Mickey Keating

Una giovane donna viene assunta come custode in una enorme tenuta storica di New York. Quando a capire cosa sia successo a chi l’ha preceduta, scopre che l’ex custode si è suicidato. Pian piano, le scoperte all’interno della residenza e l’aria inquietante che si respira al suo interno porteranno la ragazza a perdere il controllo.

L’incubo in bianco e nero di Darling – di Francesca Fichera.
I presupposti di Darling sono immediatamente chiari: vecchie storie di fantasmi. Una casa che forse è infestata. La sua precedente inquilina morta suicida. E la proprietaria che rifiuta di dire perché la porta in fondo al corridoio deve rimanere chiusa.

Lauren Ashley Carter è la Darling del titolo, unica abitante di un incubo privo di colori. I suoi occhi si sgranano, indagano il buio, guardano in camera. Mentre l’abisso li chiama. Mentre Mickey Keating cuce attorno a loro un sinistro, fatto di rumori, sussurri, piccoli presagi nascosti.

Spaventosa eleganza
Come nei brutti sogni, non c’è tinta che tenga: la vera paura viene da ciò che si intravede. Dietro le tende delle docce, sui fondi degli specchi, nelle linee invisibili tracciate fra un dettaglio e l’altro di una scena quasi perfettamente simmetrica. Proprio come in Darling.

Il suo bianco e nero da copertina (Mac Fisken), versione horror dell’omaggio alleniano ai grattacieli di Manhattan, sospende il tempo del film fino a scriverne l’atmosfera. Che significa visione, ossessione, viaggio notturno in un labirinto senza luce. Una del terrore nel suo senso più stretto.

Una curiosità del diavolo
Keating riesce a comporre la metafora ideale dell’incontro/scontro fra amore e morte; fra il “vecchio eros“- scintilla, voglia di spingersi oltre – e il violento termine di ogni cosa. Il primo corrisponde a quanto Stephen King, in Danse Macabre, ha posto alla base della sindrome del rallenta-e-guarda-l’incidente; il secondo è il mostro, o la qualsiasi creatura tenuta a spezzare per sempre il filo della vita e del desiderio.

E la scelta di mostrare o meno il volto del Male – è sempre King a dirlo – costituisce un fondamentale discrimine del genere dell’orrore. Dove Darling si va a collocare scegliendo di scardinare la porta chiusa a chiave e inquadrare solo chi la ha aperta.

Perché in realtà la mostruosità sta nell’insieme: nella casa, nei suoi suoni, negli improvvisi flash di follia, che spezzano la fissità delle attese e delle scene rielaborando il concetto di jump-scare. In questo film, nella sua haunted house, possiamo intuire benissimo il tipo di presenza che fa squillare il telefono e vibrare le pareti; non serve vederla per conoscerla, per temerla.

Sono le conseguenze il vero mistero, il terribile fantasma da cui, forse, è impossibile liberarsi. Motivo per cui la storia a più capitoli di Darling dà i brividi, ed ha tutte le carte in regola per diventare uno dei vostri film preferiti.

cinefatti.com

 

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