AUSMA [SubENG]

Titolo originale: Ausma
Paese di produzione: Estonia, Lettonia, Polonia
Anno: 2015
Durata: 96 min.
Genere: Drammatico
Regia: Laila Pakalnina

Geniale e iper-barocca riscrittura del cinema ejzenstejniano, Ausma della cineasta lettone Laila Pakalnina rilegge un episodio classico della propaganda sovietica – un figlio che denuncia il padre alla polizia segreta – per ‘sfaldarlo’ di senso in un mondo governato dal caos e non dal socialismo. In concorso alla 27esima edizione del Trieste Film Festival.

Gli orinali sopra i letti
Il Piccolo Janis vive in una cooperativa agricola che porta il nome di Ausma (Alba). Suo padre è un nemico della cooperativa e vuole darle fuoco. Inoltre uccide la moglie. Il Piccolo Janis si ribella e denuncia il padre, ma viene a sua volta ucciso da questi. [sinossi]

Se c’è un insegnamento di vitale importanza che potrebbe – e dovrebbe – arrivarci da certo cinema dell’Europa dell’Est è quello che riguarda l’uso del grottesco. Un tempo pratica comune di messa in scena dei vizi e degli orrori delle italiche genti – si pensi a film come Brutti, sporchi e cattivi, ma anche a Todo modo, o a tutto il cinema felliniano -, il grottesco viene visto oggi con estremo sospetto dai produttori, che sarebbero capaci di tirar fuori la pistola al solo sentirlo nominare, e viene ormai trattato con sufficienza anche dal pubblico, abituato a decenni di diseducazione all’immagine. D’altronde, nel resto del mondo cosiddetto occidentale non è che le cose vadano meglio, anzi; difatti, la formula del politically correct ha ottenebrato le menti dei più – anche di chi fa cinema – dando la stura a tutta una serie di film che si travestono da grottesco e in realtà sono solo superficialmente – e fastidiosamente – eccentrici, quando non furbescamente favolistici. Due titoli a mo’ d’esempio: Little Miss Sunshine e Il favoloso mondo di Amélie.
E invece, per fortuna, in tanto cinema dell’Est Europa troviamo ancora il frequente utilizzo dei codici del ‘brutti, sporchi e cattivi’, utili a leggere conflitti e contraddizioni che muovono società e paesi dalla storia tanto contrastata e tragica. È questo, ad esempio, uno strumento in cui sono maestri i cineasti appartenenti alla nuova onda del cinema rumeno, a partire da quel Corneliu Porumboiu autore di titoli come A Est di Bucarest e The Treasure.

Ecco perché non si può che accogliere con gioia l’epifania di un film come Ausma, diretto dalla regista lettone Laila Pakalnina e presentato in concorso alla 27esima edizione del Trieste Film Festival, che fa del grottesco lo strumento per mettere in scena un mondo governato dal caos.
Ispirato alla vicenda (sembra inventata dalla propaganda staliniana) di un Giovane Pioniere che nei primi anni del regime sovietico denunciò il padre perché reazionario (e per questo motivo il ragazzo venne ucciso dai familiari), Ausma ribalta l’episodio propagandistico facendone esplodere tutte le contraddizioni e lasciando che lo schermo venga letteralmente invaso da una esorbitante baraonda.
Come in Hard to Be a God di Aleksej German, la Pakalnina lavora sull’accumulo ossessivo e compulsivo di materiale – cambi repentini di punti di vista, accavallamenti di voci e di corpi, maestosi carrelli a scoprire immagini sempre più sbalorditive – proprio con l’obiettivo di mostrare il caos della periferia dell’impero, un caos che non riesce ad essere frenato dalla rivoluzione bolscevica e, anzi, ne viene in qualche modo aumentato di grado.

E, ambientando il film in quello scorcio di decennio in cui trionfò la libertà artistica e la sperimentazione – vale a dire gli anni Venti che furono gli anni dell’apice dell’arte sovietica -, la Pakalnina arriva ad abbracciare e a riscrivere i codici del cinema ejzenstejniano. Non solo e non tanto il lavoro sul montaggio, che pure gioca tantissimo sullo spiazzamento visivo, quanto soprattutto i corpi popolani tipici di film come La corazzata Potemkin e Ottobre. I volti dei contadini, il corpo obeso e flessuoso della donna responsabile dell’ordine pubblico, l’angelicità del Piccolo Janis (il bambino che denuncia il padre), lo squallore degli interni, la vitalità dei movimenti: tutto tende a far pensare a Ejzenstejn e al suo modo di affrontare il corpo del proletario rivoluzionario in contrapposizione a quello dei reazionari e dei piccoli possidenti. E, anzi, sembra quasi che la Pakalnina voglia seguire il più grande cineasta della storia del cinema anche in questo: nel riscriverne la sua stessa impostazione propagandistica.
Se, infatti, si può osare una critica a un film come Ottobre è che la sua immaginifica, la sua inesausta passione della scrittura, l’euforia totale di un cinema totale sono ben più potenti rispetto all’ideologia; vale a dire che il Cinema vince sempre sul Comunismo. Ausma allora ci ricorda questo: un così esagerato uso delle forme – vi sono nel film della Pakalnina movimenti di macchina sbalorditivi, continui shock visivi – non può che eccedere il resto e occuparne totalmente il senso.

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In certo senso dunque il controllo estetico del caos, che per l’appunto era già un elemento fondante della pratica ejzenstejniana, diviene in Ausma l’obiettivo dichiarato della Pakalnina, che si spende con grandissima generosità per farci meravigliare a ogni singola inquadratura.
In tutto ciò, l’unico appunto che si potrebbe fare è che il discorso di Ausma appare già chiaro fin dall’inizio, sin da quando viene contrapposto un palazzone sovietico alla misera locanda in cui vive il padre del Piccolo Janis: vale a dire che il socialismo può contro l’uomo e contro la sua innata ferinità. Un concetto che viene ribadito lungo tutto il film, senza alcuna modulazione, e che viene chiosato alla fine quando la morte del ragazzino serve da strumento per la propaganda, mentre da una parte ci sono dei polli che beccano qualcosa di schifoso a terra (e i polli, come ci ricorda Herzog, sono l’emblema della stupidità).
In effetti, il solo lavorare d’accumulo di fronte a una impostazione concettuale così elementare rischia di essere davvero un limite di Ausma. Ma ce ne fossero di film così nel cinema contemporaneo, così vitali, inventivi, eccentrici, a tratti anche epici, tanto che – mentre lo si guarda – vien voglia di esclamare: “Questo sì che è Cinema!”

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By Anam

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