BLIND BEAST [SubITA]

Titolo originale: Môjû
Paese di produzione: Giappone
Anno: 1969
Durata: 86 min.
Genere: Drammatico, Horror
Regia: Yasuzô Masumura

Michio (Eiji Funakoshi) è uno scultore cieco ossessionato dalla figura femminile. Nei panni di un massaggiatore e aiutato dalla madre (Noriko Sengoku), trova il modo di rapire Aki una bellissima modella (interpretata da Mako Midori) e la porta in un magazzino fuori città, nonché suo laboratorio da scultore. Lo scopo di questo sequestro, all’inizio, non ha alcuna rilevanza sessuale: Michio ha solo bisogno del magnifico corpo di Aki per sperimentare una nuova frontiera dell’arte: quella del tatto. All’inizio Aki rifiuta di prestarsi alle richieste del suo rapitore ma poi cambia tattica fingendosi accondiscendente con l’obiettivo di svegliare in lui le vere pulsioni erotiche e sentimentali, sperando di fargli abbassare la guardia per riuscire a fuggire. Dopo la morte, quasi accidentale, della madre di Michio, i sentimenti di Aki cambiano e piano piano inizia ad innamorarsi del suo “ingenuo” rapitore. Ma questa metamorfosi interiore va ben oltre alla pura e semplice “Sindrome di Stoccolma”.

La mancanza di un fronte compatto volto alla sperimentazione e all’avanguardia è uno dei motivi per i quali il cinema giapponese contemporaneo non riesce a sdoganarsi da un linguaggio divenuto ultimamente troppo patinato e poco interessato agli aspetti underground. Eppure la tradizione nipponica ha dalla sua un movimento che tra gli anni sessanta e settanta (ma con origini che vanno ricercate nel passato) ci ha regalato pellicole travolgenti, stravaganti e davvero singolari, grazie al lavoro di registi come Kaneto Shindô, Kōji Wakamatsu, Masao Adachi, Shûji Terayama, Toshio Matsumoto e Yasuzô Masumura (tra i tanti).

Proprio su quest’ultimo oggi focalizziamo il nostro sguardo: un cineasta con un curriculum importante (oltre sessanta film diretti) e un bagaglio di esperienze maturate anche in Italia, dove nel 1950 ebbe modo di frequentare il centro sperimentale di cinematografia di Roma (fu allievo di Fellini, Visconti e Antonioni). “Blind Beast” è una delle pellicole più intriganti di questa fiorente e vivace corrente, poiché poggia su tre protagonisti e su un unico ambiente claustrofobico, lo studio di uno scultore cieco di nome Michio. Egli rapisce una bellissima modella (Aki) segregandola all’interno di quel luogo, in modo tale da poter realizzare un’opera speciale, che possa elevare l’arte a una nuova dimensione tattile, da toccare e non da guardare. Ma quel posto è spaventoso, l’uomo lo ha riempito di sculture che riprendono le forme dell’anatomia umana, come nasi, orecchie, occhi, arti e corpi giganteschi che sbucano dalle pareti o dal pavimento, una memorabile scenografia surreale illuminata da continui giochi di luce ma allo stesso tempo una gabbia senza via di uscita per la ragazza, costretta suo malgrado ad assecondare la di Michio.
Q

uando tra i due scatta una certa complicità, la possessiva madre dell’uomo inizia a nutrire una forte gelosia per il figlio non vedente: “Blind Beast” si trasforma così da thriller psicologico in qualcosa di realmente sorprendente, contemplando un malsano di taglio sadomasochistico e un indimenticabile finale disturbante in chiave horror.
Masumura sfrutta un solido impianto teatrale senza mai mollare la presa emotiva sui personaggi, capaci di cambiare umore di continuo, mescolandosi tra loro nei ruoli di vittime e carnefici. Un pregio importante, incastrato all’interno di questo spazio angusto e inquietante, dal quale è impossibile fuggire. La soluzione è quindi interna al sistema e collima con un delirio crescente che scatena un triangolo morboso legato all’arte, all’amore e alla morte. Tutto funziona a dovere, anche quello score musicale poco invasivo ma di grande effetto, per un’opera che non è altro che l’adattamento di un romanzo (“Môjû”) del celebre Edogawa Rampo, che tanto ha ispirato il cinema di confine nipponico.
“Blind Beast” è uno eccentrico e malato, un prodotto da guilty pleasure assicurato che si colloca tra le perle del Sol Levante uscite a cavallo tra i 60s e i 70s. Forse, alla pari di “Seisaku’s Wife” (1965), “Irezumi” (1966) e “Nuda Per Un Pugno Di Eroi” (1966), il film rappresenta uno dei vertici raggiunti da Yasuzô Masumura, un capace di lasciare dei solchi profondi nella sensibilità dello spettatore, soprattutto a fine visione.

Guarda anche  UPSTREAM COLOR [SubITA]

cinemaestremo.wordpress.com

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By Anam

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