BLACK HOLLOW CAGE [SubITA]

Titolo originale: Black Hollow Cage
Nazionalità: Spagna
Anno: 2017
Genere: Drammatico, Fantascienza
Durata: 105 min.
Regia: Sadrac González-Perellón

Una casa ultramoderna nel bosco, un cane che parla, un braccio robotico. E la calma apparente viene distrutta. L’unico aiuto arriva da qualcosa di molto misterioso: un grande cubo nero comparso dal nulla.

Black Hollow Cage, terzo lungometraggio scritto e diretto da Sadrac González-Perellón, unisce influssi latamente horror a una patina -fi, delineando un’ambientazione suggestivamente collocata, se non nell’immediato presente, in un futuro assai prossimo.

La storia è incentrata su Adam (Julian Nicholson) e la figlia Alice (Lowena McDonell), che vivono isolati in una fascinosa casa di ferro e vetro immersa nei boschi. La madre è morta per una terribile tragedia – meglio chiarita solo sul finire -, mentre la ragazzina ha perso un braccio e perciò le viene costruito un arto meccanico che si muove grazie agli stimoli cerebrali di chi lo porta. Si tratteggia così una strana e alienata dinamica familiare: da una parte il padre è ritenuto colpevole della disgrazia, mentre un cane, Beatrice, che è dotato di un apparecchio che le permette di parlare e prende nella mente della bambina il posto della genitrice. Nella soffocante e monotona quotidianità, fanno poi d’improvviso la loro comparsa due giovani sconosciuti, Erika (Haydée Lysander) e Paul (Marc Puiggener), che sono soccorsi da Adam e si dichiarano vittime delle violenze del presunto fidanzato della suddetta, ma che sin da principio hanno qualcosa di sinistro. Se infatti Adam, attratto della fascinosa adolescente, è tratto in inganno dalla sua parvenza di innocente che necessita d’esser salvata, diversamente Alice ha parecchi sospetti, corroborati da singolari messaggi che le arrivano attraverso un grosso e misterioso cubo nero, oggetto dalle ignote in cui s’imbatte in una delle sue passeggiate tra gli alberi.

Decisamente teso e denso d’atmosfera, anzitutto a creare i presupposti per una percezione ansiogena e soffocante è la casa stessa in cui González ha intelligentemente scelto di collocare le riprese. Struttura minimale e brutista che alterna lo scheletro portante a una maggioranza di superfici di vetro, più che dare un’idea di calore domestico o di protezione, la magione dai limiti osmotici pare essere aperta a ogni aggressione, oltre che estremamente asettica. Inoltre, disseminata di mille porte nascoste nelle superfici glabre delle pareti metalliche e di corridoi che s’intersecano, essa dà un’idea di labirintico che aumenta ulteriormente il senso d’inquietudine. La medesima angoscia è poi estesa all’antropologico, agli abitanti della casa, Adam e Alice, la cui convivenze sembra soffocare entrambi; i dialoghi tra loro, in maniera più diretta, ma anche i movimenti estremamente lenti, quasi faticosi, i reiterati esercizi della ragazzina con l’innaturale protesi, nonché l’utilizzo di campi lunghissimi, in cui attraverso le vetrate della casa sono inquadrati da lontano i personaggi mentre si spostano, tutto concorre a creare un’asfissiante stasi, un sentimento di fatale e passiva attesa, che anticipa e intensifica quello che capiterà successivamente.

Poi, in un crescendo si susseguono una serie di eventi arcani; in primo luogo un enorme solido compare dal nulla nella vegetazione. Non solo, in un lato della strana istallazione, che sembra un po’ la scultura minimalista di Tony Smith del 1962 intitolata evocativamente “Die”, si apre un piccolo varco ed al suo interno si concretano prima un foglio di carta con scritto “Non ti fidare di loro”, poi un lettore musicale che mette in guardia Alice e non solo… E’ un’impalpabile minaccia che prende sempre più forma e cui contorni sono sapientemente mantenuti indefiniti, preservando così la suspense fino all’ultimo. Inoltre, a fornire ulteriore complessità all’insieme, c’è la componente vagamente futuristica, che lo avvicina a Ex Machina, con cui condivide il medesimo senso di arcano pericolo: quasi prossime invenzioni delle attuali ricerche scientifiche, il braccio bionico, o lo strumento che dà voce a Beatrice, situano la vicenda in un immaginario dal sapore latamente fantascientifico, caricandolo di ulteriore suggestività e al contempo motivano alcuni sviluppi diegetici, compresa la svolta finale che porta a chiarire – forse fin troppo – l’enigma che ammanta buona parte del minutaggio (non si specifica oltre per evitare spoiler). Infine si sommano gli estranei, ossia la coppia di fratello e sorella, entrambi vagamente subdoli e che nella loro affettata remissività fanno pensare ai membri della setta di Charles Manson, sulla quale era incentrato l’ottimo Wolves at the Door, di cui Black Hollow Cage richiama alla lontana le atmosfere. A dare concretezza però più di tutto alle suggestioni a cui concorrono molteplici componenti, visive e narrative, è la performance del duo di giovani attrici che fronteggiano: la McDonell con una reiterata gestualità e l’alternarsi di apatia ed d’emotività incarna la fanciullesca controparte perfetta della lolitesca e infida Lysander.

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In Black Hollow Cage, González sfrutta quindi in maniera sapiente una location densa di fascino, un’ottima recitazione e un immaginario latamente -fi per creare un’intensa tensione e confezionare un horror diverso e inedito.

Recensione: ilcineocchio.it

 

 

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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