ARIRANG [SubITA] 🇰🇷

Titolo originale: Arirang
Nazionalità: Corea del Sud
Anno: 2011
Genere: Documentario, Drammatico
Durata: 100 min.
Regia: Kim Ki-duk

One Man Show
Arirang è una storia in cui Kim Ki-duk ricopre tre ruoli. “Grazie ad Arirang ho scalato una collina della mia vita. Grazie ad Arirang cerco di comprendere l’Uomo, ringrazio la e accetto la mia attuale condizione”. 

Ci era davvero mancato Kim Ki-duk? Potrebbe sembrare cinica questa domanda, ma sorge spontanea da una delle tante lapidarie e reiterate affermazioni/confessioni del cineasta sudcoreano, tornato sul grande schermo – o, per meglio dire, tornato in un grande festival – dopo circa tre anni.
Tre anni. Quella che verrebbe catalogata come una più che normale “pausa di riflessione” [1] per la maggior parte dei cineasti, shooter o autori che siano, rappresenta per Kim Ki-duk una sorta di eternità, vista la sua naturale e celeberrima prolificità – messaggio chiarito a più riprese durante questo suo ultimo lavoro. Tre anni di profonda crisi personale e professionale. Tre anni riassunti nei cento minuti di Arirang: come spiegare l’impasse creativa dopo ben quindici lungometraggi realizzati, premiati, amati?
Una galleria di locandine e immagini dei film – senza dimenticare la produzione pittorica – ci ricorda, casomai fosse necessario, il trionfante percorso artistico di Kim, tra autoanalisi e autocelebrazione, discorsi su se stesso e sulle proprie opere. Discorsi sul cinema (di Kim Ki-duk).

Kim Ki-duk torna perché doveva tornare, atteso da se stesso e dal mondo (dei festival). In un cortocircuito persino piacevole, ci troviamo osservati da Kim mentre guardiamo Kim che guarda Kim [2]: la realtà della platea (regista più spettatori) di fronte alla realistica (?) finzione della pellicola. La moltiplicazione dei Kim. In bilico tra fiction e documentario, il vulcanico e narciso regista sudcoreano riparte da se stesso, (forse) unica soluzione possibile per un cineasta che con le ultime prove sembrava parlarsi addosso, citarsi, riprodursi come una sbiadita copia carbone. E per restare nel paradosso, Arirang, questo ibrido kim-centrico, appare meno involuto dei precedenti Dream (2008), Time (2007), Soffio (2006) e L’arco (2005), film che può essere considerato una sorta di fatale spartiacque. Nella mise-en-scène di se stesso, nel ricoprire qualsiasi ruolo (produttore, regista, sceneggiatore, direttore della fotografia, montatore, attore, tecnico del suono…), il regista che realizzò nella prima parte della carriera opere come La samaritana (2004) e L’isola (2000), Bad Guy (2001) e Ferro 3 – La casa vuota (2004), compie finalmente un passo. E poco importa la direzione del passo: Kim, parlando di Kim, rinnova Kim. Ennesimo paradosso di una onesta autocelebrazione dai contorni quasi messianici che si intreccia con una disonesta autocritica, intrisa di psicologia spicciola.

Sparito dai palcoscenici internazionali, Kim Ki-duk torna con una produzione a bassissimo costo, girata in digitale, con una grammatica cinematografica basilare e mezzi quasi di fortuna. Tra primi piani e dettagli, quadri fissi e soggettive, riprese notturne e luci naturali, Arirang è la fine e forse il nuovo inizio di uno dei più amati (e poi detestati) registi sudcoreani. “Arirang, Arirang, Arirang…”
“Ready”.
“Action!”.

Note
1. Qualsiasi siano le motivazioni, dalla semplice vacanza alla crisi creativa, dalla mancanza di buoni soggetti ai ripercussioni dopo un flop al botteghino.
2. Un cortocircuito che può esistere solo in quella dimensione parallela che sono i festival cinematografici. Nella normalità di una proiezione per i cinema l’ di Kim annullerebbe il gioco voyeuristico.

Recensione: quinlan.it

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By Anam

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