ANTIVIRAL [SubITA]

Titolo originale: Antiviral
Nazionalità: Canada
Anno: 2012
Genere: Fantascienza, Horror, Thriller, Visionario
Durata: 110 min.
Regia:

Syd March lavora per una clinica che rivende sieri di virus, recuperati dalle malattie che hanno colpito personaggi famosi e destinati a schiere di fan morbosi e ossessionati dalle celebrità. Grazie alla possibilità di lauti guadagni, Syd il proprio corpo come veicolo per rivendere i sieri in maniera clandestina. Quando però si infetta pericolosamente con il che ha provocato la della popolare Hannah Geist, Syd diviene a sua volta oggetto di mira di collezionisti, criminali e fan. Per salvare la propria pelle ed evitare una morte certa, dovrà svelare la natura misteriosa del e trovarvi un antidoto.

Parlavamo qualche giorno fa della carenza, nel cinema di genere, di progetti originali, che non siano i rifacimenti di qualche saga del passato, che non derivino dal riciclo in chiave moderna di qualche mitologia prosciugata fino all’inverosimile, che non ci ammorbino con i soliti vampiri, zombi, licantropi edulcorati. E poi, spunta dal il signor che, con poco più di due milioni di dollari di budget, un giovane attore straordinario e una sceneggiatura piena di suggestioni e spunti di riflessione da scriverci quattro trattati sopra, ti tira fuori Antiviral.
Sì, lo so che Brandon è il figlio di David. Non ha nessuna importanza ai fini dell’analisi del film.

In un futuro prossimo, esistono cliniche che vendono ai fan le malattie contratte dalle celebrità. Per esempio, se la vostra attrice preferita si becca l’influenza, questa clinica compra il virus, ve lo inietta dietro lauto pagamento e voi potete avere l’enorme piacere di condividere con lei l’esperienza. E tutto ciò non è abbastanza, perché macellerie, rosticcerie e ristoranti vi offrono l’opportunità unica di nutrirvi dei vostri beniamini, commerciando carni sintetiche realizzate con le loro cellule.
Syd, il protagonista del film (Caleb Landry Jones), lavora in una di queste cliniche, ma “spaccia” anche i sul mercato nero. Per portarli fuori dalla clinica, se li inietta. Tutto procede per il meglio, fino a quando Syd non decide di contrarre una strana malattia che una delle star più famose e amate, Hannah Geist (Sarah Gadon), ha messo da poco in vendita e che dovrebbe andare a ruba. Se non fosse che è mortale.
Antiviral è un film che sbalordisce. Riesce quasi difficile credere che si tratti di un esordio e che il regista abbia alle spalle solo due corti. Perché Cronenberg, sia in sede di scrittura che dietro la macchina da presa, costruisce pezzo per pezzo un’opera che non ha una sola sbavatura, non una nota stonata, che quasi acceca nella sua gelida perfezione.
Certo, bisogna essere preparati a confrontarsi con Antiviral, data la sua distanza siderale da qualsiasi prodotto di consumo ci venga propinato quotidianamente, Ci vuole attenzione, ci vuole una certa dedizione per lasciarsi coinvolgere da un racconto che è appositamente svuotato da qualsiasi valenza emotiva.
E non potrebbe essere altrimenti, se il mondo narrato è quello in cui l’adorazione delle masse è verso “allucinazioni collettive”, come sono le celebrità di cui ci si nutre e di cui si prendono le malattie, per stabilire un contatto irreale e impossibile, un’illusione di vicinanza, un amore posticcio che non può essere ricambiato, in cui si esibisce con orgoglio un herpes sulle labbra, solo perché un personaggio famoso lo ha esibito a sua volta a un qualche evento a cui non saremo mai invitati.
Lo stesso Syd, all’apparenza distaccato, perché conscio del meccanismo che si cela dietro questo delirio (del tutto legale, ci tengo a precisarlo) globale, finisce per gradi per intraprendere un percorso che è quasi mistico, quasi un martirio in nome della genuflessione alla divinità Hannah, con cui si trova a condividere un destino di morte.
Cronenberg avrebbe potuto intraprendere almeno un milione di per raccontare la sua storia: poteva lanciarsi sul sensazionalismo più bieco o sulla sociologia spicciola, con pretesa di lezione morale al seguito. E invece sceglie, ed è la scelta vincente, di mostrarci questa umanità come se stessimo osservando degli insetti nel loro habitat naturale. Distacco clinico e sguardo asettico.
E tuttavia, riesce lo stesso a coinvolgerci, su un piano più complesso rispetto a quello puramente emozionale, riesce a colpirci facendoci sentire smarriti di fronte a una realtà che è distopica solo perché vogliamo tanto convincerci che lo sia. Antiviral, più che un film dell’orrore, sembra un’opera naturalistica.
Un’operazione che non si faceva più da tanti anni: usare il fantastico per parlarci di noi, neanche in forma di metafora, ma di profezia.
Ancora una volta, come accade sempre quando il cinema è davvero cinema ed è davvero grande, la forma e la sostanza sono imprescindibili e si confondono l’una nell’altra. Per questo diventa importantissimo sottolineare il lavoro enorme fatto dal direttore della fotografia Karim Hussain. Ci si aspetterebbero i soliti colori lividi e bluastri, ci si aspetterebbe la freddezza anche in quel reparto. E invece no. Hussain gioca prima di tutto con un bianco abbagliante, ma lo impasta e lo sporca con dei colori accesi e caldissimi, prima di tutto il rosso del sangue, che è la variazione cromatica più evidente. Ma non solo: guardate i fiori che si vedono in molti interni, come spiccano variopinti nel monotono candore che sembra cannibalizzare la pellicola, o gli azzurri di Hannah, o l’arancione dei capelli di Syd. Anche questa fotografia è in controtendenza con lo spiattellamento uniforme di molto cinema di genere contemporaneo.
Oppure, si dovrebbe fare caso al montaggio di Matthew Hannam che conferisce al film un andamento che è lento soltanto se si ha come termine di paragone un Transformer a caso.
Antiviral 3E poi ci sono delle scelte scenografiche interessantissime, a partire dai macchinari che servono a isolare e a mettere il copyright sui vari virus, che hanno un aspetto retro, analogico, per continuare con gli arredi essenziali e spartani dell’appartamento di Syd, e per finire con il lurido interno della macelleria dove si fabbricano le sgradevoli bistecche di celebrità e dove sta per sorgere un qualcosa che sarà il punto d’arrivo del percorso del nostro protagonista. E il punto di partenza per una nuova concezione carnale dello spirito e della vita che prosegue anche dopo che abbiamo smesso di respirare.
Insomma, Antiviral è un film che lascia uno strascico di inquietudini, dubbi, domande e paure che non è possibile sopire una volta spento il lettore. Orrore puro, nell’accezione più nobile del termine, quello che mette in discussione le fondamenta stesse del nostro vivere civile. Quello che il fantastico dovrebbe sempre fare.

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Recensione: ilgiornodeglizombi.wordpress.com

By Anam

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