
Titolo originale: Boys Go to Jupiter
Titolo Internazionale: Boys Go to Jupiter
Paese di produzione: USA
Anno: 2024
Durata: 90 min.
Genere: Animazione
Regia: Julian Glander
Un adolescente nella periferia della Florida si affanna disperatamente per guadagnare 5.000 dollari in questa storia animata di formazione sognante e surreale.
Il film d’animazione “Boys Go to Jupiter”, scritto, diretto e prodotto da Julian Glander con un budget limitato, è un’opera traboccante di immaginazione. È la storia di quattro ragazzi della lower-middle class (basso ceto medio) che vivono nella periferia della Florida e che, all’improvviso, si ritrovano a interagire con delle adorabili creature gelatinose, dagli occhi grandi e dalla vocina squillante, pur dovendo fare i conti con i riti noiosi ma necessari della vita quotidiana.
È una fantasia dai colori pastello con intermezzi musicali (tutte le canzoni sono scritte da Glander stesso, ovviamente). La scenografia, volutamente confusa e ingenuotta, sembra assemblata con set di Playmobil e Fisher-Price, mattoncini Lego e Duplo, materiali da disegno delle elementari e ricordi d’infanzia. Eppure, in modo alquanto incredibile, “Boys Go to Jupiter” è anche un ritratto dei giovani intrappolati ai livelli più bassi dell’economia statunitense, alla ricerca di scale che sono state rimosse da tempo.
Il protagonista principale è Billy 5000 (Jack Corbett), un sedicenne sveglio e tosto. L’elemento fantastico entra in gioco quando Billy consegna cibo a Dolphin Groves, un'”azienda di succhi di frutta a conduzione familiare” fondata dal Dr. Dolphin.
In definitiva, il film è più che altro una divagazione intelligente e bonaria di 90 minuti che non un’opera d’arte pienamente soddisfacente. Ci sono momenti in cui la storia cede a un eccesso di “carineria” (The Cutes, una condizione che viene tipicamente trattata con leggere dosi di acido) e alcune strade promettenti che vengono accennate ma non esplorate.
Nei suoi momenti migliori, “Boys Go to Jupiter” ha l’energia frenetica di quelle commedie drammatiche corali su comunità di personaggi stravaganti che Robert Altman e Hal Ashby erano soliti realizzare, in cui anche i personaggi secondari sono così squisitamente originali da poter essere i protagonisti del loro film.
Le trame che riguardano la successione familiare nella fabbrica di succhi e i ragazzi della classe operaia bloccati in un’economia basata sui lavoretti occasionali (la gig-economy) finiscono per sovrapporsi, con un impatto maggiore di quanto ci si aspetterebbe. Il finale è una prova morale che ha un peso reale, anche se trattata con leggerezza.
