
Titolo originale: (Nyaito obu za Ribingu Kyatto – Batman of the Living Cat? No: “Nyaight of the Living Cat”)
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2025
Durata: 12 episodi x 24 min (serie TV)
Genere: Horror, Commedia, Grottesco
Regia: Tomohiro Kamitani – Direttore supervisore: Takashi Miike
Sinossi:
Un virus irresistibilmente carino devasta il pianeta: basta accarezzare un gatto per trasformarsi in gatto. Umani costretti a scegliere tra l’istinto di coccolare e la paura dell’estinzione si rifugiano in roccaforti anti‑micio, mentre Kunagi – un sopravvissuto con amnesia e debolezza felina terminale – attraversa un Giappone ormai “Nyandemic” per salvare se stesso e, forse, ciò che resta dell’umanità.
Il primo miagolio arriva al crepuscolo, troppo dolce per essere un presagio. Da lì in poi il mondo cede: torri di cemento cedono al fusa‑quake, i social gridano “adorabile!” mentre la civiltà scivola sul pelo. Nyaight of the Living Cat non racconta un’apocalisse: la morde, la lecca, la trasforma in palla di pelo cosmica.
Takashi Miike supervisiona e si sente: caos iconoclasta, risata sardonica, gore sublimato in kawaii. Tomohiro Kamitani dirige come un DJ psichico che mescola ukiyo‑e digitali, splash‑pages manga e scroll infiniti di meme felini. Ogni episodio è una fiaba cannibale: cat‑zombie che avanzano con occhi da peluche, castelli feudali ricostruiti in stile mecha, battaglie all’arma bianca interrotte da un “nya~” penetrante che sublima la violenza in parodia. Il disegno di OLM Division 1 alterna pennellate ad acquerello (flashback del mondo “umano”) a glitch psicotropi quando la “nyinfection” prende il sopravvento; i fondali dissolvono tempietti shinto in metropoli cyber‑punk sotto piogge di peli fluorescenti.
Kunagi è un eroe gnostico con un solo comandamento: non carezzare. Il suo dramma («posso resistere a un gatto?») rilegge il mito biblico: l’albero della conoscenza sostituito da un persiano bianco con occhi acquamarina. Il desiderio diventa epidemia ontologica. Incontriamo poi “Fratellanza del Guanto di Lattice”, monaci cyber‑zen che predicano l’astinenza tattile; “Felinati Ribelli”, ex gattari convertiti in guerriglieri; e un Joker‑nekomancer che scatena tsunami di gattini per convertire gli ultimi infedeli.
Il sotto‑testo è velenosamente contemporaneo: pandemia soft power & social addiction. Il virus non trasmette morte, ma conformità carina. Diventare gatto è cedere al comfort, all’algoritmo del like perpetuo, abdicare alla complessità umana per la semplicità di un sonnellino al sole. Lo show, sotto la parrucca da meme, è un trattato di bio‑politica pop: un mondo che brama regressione infantile – e la ottiene.
Musica: opening “Cat City” degli Yellow Monkey – riff glam che graffia nostalgie anni ’90 – ed ending “Matatabi” dei Wanima, lullaby stoner che fa girare la testa come erba gatta. In mezzo, insert song con Marty Friedman alla chitarra: shred felinico che accompagna la boss‑fight del castello‑mecha di Joker‑Daimyō.
Difetti? Trama a elastico: salti logici, comprimari che scompaiono (letteralmente, inglobati nel pelo). Ma il vero senso è altrove: esperire la saturazione visiva‑sonora, lasciarsi contaminare. Ogni miaolata infrange la quarta parete; ogni cliffhanger chiede: «E tu? Accarezzeresti?». La visione diventa rito immersivo: quando chiudi l’episodio, senti nell’orecchio un fusa fantasma e ti sorprendi a guardare il tuo gatto… con sospetto.
Nyaight of the Living Cat è un’apocalisse zuccherina, un vangelo sarcastico sul libero arbitrio nell’epoca dell’adorabile coercitivo. Se ami i gatti, riderai con brivido freddo. Se li temi, amerai il film per le ragioni sbagliate. Se sei ancora umano alla fine, forse hai imparato a dire “no” al lato più seducente dell’addomesticamento globale.
