
Titolo originale: Zoo zéro
Paese di produzione: Francia
Anno: 1979
Durata: 101 minuti
Genere: Drammatico, Fantascienza, Visionario
Regia: Alain Fleischer
Sinossi:
In un club notturno bizzarro chiamato “Arca di Noè”, dove gli ospiti indossano maschere animali e la cantante Eva si esibisce per un pubblico grottesco, un uomo misterioso la riconosce e sostiene di averla già ascoltata cantare Mozart. Quell’incontro innesca una discesa nel caos: Eva, perseguitata da enigmi di identità, labirinti urbani e incontri inquietanti, si troverà invischiata in un mondo dove umanità e bestialità si confondono. La città è un zoo notturno, la pelle un travestimento, e la verità un sogno sbiadito tra fumi, riflessi e fantasmi.
Recensione:
Zoo zéro è un film che respira sotto una luna distorta — un rito notturno che trasforma il cabaret in apocalisse simbolica, la carne in maschera, la voce in eco di un delirio ancestrale. Alain Fleischer non gira una storia: mette in scena una discesa, una trasformazione, un fantasma che si fa carne e maschera. La cantante Eva non è un personaggio da seguire: è un tramite, un canale di trasmissione di una vertigine che ha a che fare con la perdita, la memoria, l’instabilità del corpo e dell’identità.
Il film non cerca la chiarezza: la nega. Preferisce l’ombra, il crepuscolo, il rumore sordo di un mondo che perde riferimenti e decide di vivere nell’incertezza. I corridoi post-apocalittici, i club fumosi, gli uomini mascherati, le strade deserte di una città violentata da un disastro immaginario — tutto concorre a costruire un limbo sensoriale. La fotografia di Bruno Nuytten, con luci al neon, filtri ruvidi e ombre organiche, trasforma ogni inquadratura in un eletto “non-luogo”, un paesaggio psichico dove la pelle urla e la carne diventa simbolo.
La colonna sonora — con frammenti di Mozart disturbati, lamenti meccanici, rumori animaleschi — rincara la dose: ogni nota è un coltello che cerca un orbita nella testa dello spettatore. Il film non ti dice cosa sta succedendo: ti fa sentire che qualcosa dentro di te vuole urlare, vuole spaccare la calma, vuole risorgere da sotto le macerie del razionalismo.
Tra i personaggi, emerge la bellezza decadente di Eva, ma non come eroina tragica: come vittima-sacerdotessa di un rito che lei stessa non controlla. E ci sono figure disturbanti, grottesche — il direttore dello zoo che parla tramite vocoder, uomini deformi, ventriloqui che urlano verità distorte, famiglie sgangherate, liti animalesche — tutte proiezioni deformate dell’umanità in crisi, specchi rotti che restituiscono un’immagine scomposta dell’uomo.
Zoo zéro è una bestia muta, una sinfonia d’acciaio che si tende, vibra e torna a dormire, consumando lo spettatore come carbone destinato a diventare cenere. Non è un film di paura facile: è un film che ha paura permanentemente addosso, paura che vibra, paura che si trasforma in desiderio, desiderio di bruciare, di urlare, di dissolversi.
E in questa dissoluzione c’è una potenza: la potenza di un cinema che rifiuta la forma, che rifiuta la consolazione, che rifiuta la catarsi. Zoo zéro è un rito pagano, un grido allo specchio di un’umanità che ha perso la pelle e non sa più cosa significa essere se stessa. E forse è proprio lì, nella perdita totale, che cerca una forma di verità — violenta, disturbata, smisurata.
