VIGIL (SubITA)

Titolo originale: Vigil
Paese di produzione: Nuova Zelanda
Anno: 1984
Durata: 95 min
Genere: Drammatico, Horror, Esoterico, Visionario
Regia: Vincent Ward

Sinossi:
In una remota fattoria delle colline neozelandesi, una ragazzina di undici anni osserva la madre vedova invaghirsi di uno straniero che si stabilisce con loro. Lo sguardo della bambina diventa il filtro con cui assistiamo al conflitto fra innocenza, desiderio e presagi oscuri.

Con Vigil, Vincent Ward inaugura la stagione del “cinema visionario” neozelandese. È il primo film del Paese a entrare in concorso a Cannes, ma è soprattutto un’opera che non sembra neanche appartenere agli anni ’80. Un racconto sospeso, arcaico, che si muove come una parabola biblica dentro paesaggi selvaggi, cupi e impregnati di nebbia.

Ward filma la Nuova Zelanda come se fosse la fine del mondo, o forse il suo inizio. Le colline avvolte nella foschia diventano un teatro primordiale, fuori dal tempo, dove ogni gesto sembra gravato da un significato ancestrale. Non è un semplice dramma rurale: è un film che trasforma il quotidiano in rito, la vita di una famiglia in un conflitto mitico.

La protagonista, Toss, è una bambina che guarda il mondo con occhi ancora puri ma già corrotti dal sospetto, dalla paura e da un’intuizione quasi medianica. La sua visione è quella di un testimone incorruttibile che vede il male insinuarsi non tanto nello straniero, quanto nei legami fragili che legano gli adulti. Toss diventa sacerdotessa e spia insieme, una Cassandra bambina che non può fermare il crollo ma solo annunciarlo.

Lo straniero, come nelle fiabe oscure e nei racconti gnostici, porta sempre un doppio significato: minaccia e possibilità, peccato e rivelazione. La madre, attratta e sedotta, sembra soccombere a una forza che non è solo erotica ma cosmica, come se il desiderio fosse un atto di tradimento verso il sacro equilibrio naturale. Ward non parla mai apertamente di religione, ma l’intero film è imbevuto di spiritualità pagana: l’acqua, la terra, il fango, i fuochi nel buio sono simboli più potenti di qualsiasi parola.

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Vigil non racconta una storia lineare: è piuttosto una trance visiva, dove i suoni della natura, i respiri, le immagini lente e ipnotiche ti risucchiano dentro un’esperienza quasi medianica. In certi momenti sembra un film di Tarkovskij caduto nel cuore della Nuova Zelanda, con il suo stesso senso di attesa, di sospensione, di rivelazione imminente.

Eppure sotto la sua estetica austera vibra qualcosa di profondamente perturbante: la paura dell’intruso, la perdita dell’innocenza, la dissoluzione di un mondo chiuso e protetto. Ward sembra dirci che ogni civiltà — anche quella minuscola di una fattoria sperduta — vive sempre sotto la minaccia dell’“altro”, e che l’arrivo dello straniero è il momento in cui si decide se rinascere o collassare.

Il film, con i suoi ritmi ellittici, non concede consolazioni. È cupo, enigmatico, impenetrabile come i suoi paesaggi. Ma proprio per questo si imprime nella memoria: perché sembra toccare qualcosa che sta sotto la superficie della vita, un istinto primordiale che riconosciamo senza poter spiegare. Vigil non è solo cinema: è un avvertimento, un presagio inciso nella nebbia.

By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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