VEXILLE

Titolo originale: Vexille
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2007
Durata: 109 minuti
Genere: Animazione, Fantascienza, Azione
Regia: Fumihiko Sori

Sinossi:
Nel 2077 il Giappone, dominato dalla megacorporazione tecnologica Daiwa, ha tagliato ogni contatto con il resto del mondo dietro un muro digitale invalicabile. Le altre nazioni temono che il Paese stia sperimentando tecnologie proibite sulla manipolazione biologica e sull’integrazione uomo-macchina. La squadra speciale americana S.W.O.R.D. invia l’agente Vexille a infiltrarsi nel territorio giapponese per scoprire la verità. Ciò che troverà è un mondo devastato, popolato da esseri post-umani, ribelli in fuga e un potere industriale che ha trasformato l’umanità in una materia prima.

Recensione:
Vexille è un colpo di lama digitale, un film che ti spinge dentro la polvere metallica di un futuro deformato, dove la tecnologia non è evoluzione ma sottomissione, e la libertà è un frammento di codice nascosto sotto strati di inganni. Fumihiko Sori costruisce una visione cyberpunk che non cerca la raffinatezza filosofica, ma la brutalità dell’impatto: un Giappone isolato, reso opaco da un blackout volontario, un buco nero geopolitico che risucchia verità, corpi e identità.

Questa scelta narrativa — l’autosegregazione — è il motore occulto del film. C’è un’energia esoterica nella sparizione di un’intera nazione, un senso di complotto tecnosacrale, come se la Daiwa avesse compiuto un rito industriale per riscrivere la natura stessa dell’essere umano. Il Giappone non è più un luogo: è un laboratorio fuori dal tempo, dove l’etica è evaporata e l’ingegneria biomeccanica è diventata una liturgia spietata.

Vexille, con la sua durezza e fragilità, è lo spettatore incarnato: entra in un mondo che sembra familiare ma è ormai morto, rimpiazzato da un ecosistema di sabbia ferrosa e corpi sintetizzati. Il suo viaggio è un percorso iniziatico dentro il fallimento del progresso, un pellegrinaggio tra rovine che non appartengono al passato, ma al futuro stesso quando viene divorato dai propri creatori. I ribelli che incontra sono residui umani, tribù post-industriali che respirano diffidenza e sopravvivono come se fossero fantasmi consapevoli della propria condanna.

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La messa in scena è secca, metallica, senza romanticismi. I Mecha, gli androidi, i worm-meccanici che divorano tutto ciò che è biomassa: ogni figura è un simbolo del crollo del confine tra uomo e macchina, ma visto non come evoluzione, bensì come maledizione. Qui il transumanesimo è un carcere lucido, un patto demoniaco firmato con l’illusione dell’immortalità.

La Daiwa emerge come un’entità totalitaria più che una corporazione: un culto tecnologico che ha divorato la politica, la moralità e la stessa idea di comunità. Il film non nasconde mai la sua vena complottista, ma la trasforma in una struttura mitologica: non siamo davanti a un semplice antagonista, ma a un arconte tecnologico, un potere invisibile che manipola la carne come fosse software.

L’estetica del film — fatta di sabbia, metallo, luci sintetiche e silenzi abrasivi — costruisce un mondo dove la materia sembra sul punto di disgregarsi. Il ritmo è quello di una corsa contro un’entropia imminente, una frana di codici e ingranaggi che inghiotte tutto. È un’opera che parla della perdita: perdita di identità, di controllo, di umano, di futuro. E lo fa con la consapevolezza che la tecnologia, se disancorata dalla coscienza, diventa solo un’altra forma di tirannia.

Vexille non è un film che cerca la consolazione. È un monito, un presagio, un avvertimento visivo sull’arroganza delle megacorporazioni e sull’ingenuità con cui l’umanità consegna parti di sé al mercato. È un racconto apocalittico che pulsa di una verità disturbante: il futuro non è un faro, ma un campo minato.

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By Anam

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