TRIANGLE [SubITA]

Titolo originale: Triangle
Nazionalità: Australia, UK
Anno: 2009
Genere: Fantascienza, Horror
Durata: 99 min.
Regia: Christopher Smith

Jess (Melissa George) si trova su una barca a vela insieme a un gruppo di amici. Quando l’imbarcazione finisce in mezzo a una tempesta, il gruppo è costretto a salire su una nave deserta per salvarsi. Jess non è tranquilla: ha la sensazione di averla già vista in precedenza. Nonostante gli orologi della nave siano tutti fermi e nessuno della ciurma si faccia vivo, i scoprono di non essere soli a bordo. Qualcuno gli sta dando la caccia facendoli misteriosamente sparire ad uno ad uno.

Triangle si potrebbe benissimo paragonare a un esame di maturità superato con la lode da parte di un regista che già si era ritagliato il suo lodevole spazio tra le nuove leve dei registi horror inglesi con le sue due pellicole precedenti (Creep – Il Chirurgo e Severance – Tagli al personale).

Il primo aveva avuto il merito di rispolverare e riportare in auge, sebbene con l’ingenuità tipica di un opera di debutto, il tetro luogo della metropolitana, scenario da incubo dalle potenzialità ancora non completamente espresse, mentre il secondo, virando verso i più consoni toni da commedia, aveva mostrato come si poteva rivitalizzare un tema risaputo come quello dei dispersi in una foresta ripudiando prevedibilità varie sia nella scelta dei protagonisti sia nei moventi degli antagonisti, il tutto sorretto da un’attuale critica verso l’industria delle armi.

Per chiudere la tripletta in bellezza, come si addice alla perfezione insita nel numero tre, Smith si rimbocca le maniche e si fa una bella iniezione di serietà, intenzionato ad addentrarsi nel rischioso e contorto territorio della psiche, rimediando così a una lacuna tematica presente nella sua filmografia. Sebbene il titolo Triangle potrebbe dare adito alla supposizione, il film non ha nulla a che vedere con il celebre “triangolo delle bermuda”, sede maledetta di inspiegabili sparizioni di navi ed aerei. Tutt’al più la figura geometrica potrebbe servire da sagoma da sovrapporre al percorso colmo di tribolazioni che affronta la protagonista Melissa George (Turistas, 30 Giorni di Buio), sublime nella sua interpretazione per la spontaneità con cui riesce a manifestare il malessere del suo ruolo. A questo proposito, per agevolare il processo immaginativo, viene più volte in aiuto la citazione del mito di Sisifone, costretto da Zeus per punizione a spingere all’infinito un masso dalla base alla cima di un monte.

Grazie a questa fondamentale chiave interpretativa, si riesce a comprendere perfettamente il peso di questa eterna condanna che si autoinfligge la nostra eroina, un patimento mentale vissuto a tempo indeterminato, unico modo per elaborare ed espiare un trauma subito per giungere a un apparente alleggerimento della coscienza. La trama proposta renderebbe pieno d’orgoglio un certo signor Sigmund Freud per l’intensa maniera di rappresentare l’irragiungibile astrusità dei mondi immaginabili dal nostro subconscio in seguito a un fatale errore imputabile a noi stessi. La psiche si trasforma quindi in un labirinto a misura d’uomo in cui è la violenza l’unico strumento investigativo per riscoprirsi peccatori, un calvario interiore che si preferisce ripercorrere ogni qual volta che si presenta la devastante occasione di ammettere le proprie colpe.

Lo sviluppo della storia potrebbe rievocare lo spagnolo Timecrimes di Nacho Vigalondo, ma mentre in quest’ultimo si preferiva giocare con i paradossi temporali e con la ricerca dei relativi indizi per ricostruire la cronologia degli eventi, la pellicola inglese al contrario si stacca con decisione dalla presunta ispirazione prediligendo un approccio meno cerebrale lasciando molto più spazio alle partecipazione emotiva dello spettatore.

A rendere speciale la terza prova di Smith è l’inusuale contesto marittimo, scelta eccezionale per rendere ancora più metaforico questa sorta di naufragio psicologico in cui ci si affida completamente ai propri flussi di pensiero sperando di ritornare al più presto al raziocinio di partenza.

Pur concedendo un posto privilegiato alle distorsioni mentali, il regista si adopera in un egregio lavoro di caratterizzazione dei personaggi di contorno che con la loro ipocrisia e superficialità accentuano ancora di più la fragilità della protagonista privandola della solidarietà di cui ha bisogno. Costruzioni di fantasia a parte, la donna può ben immaginare che in una situazione di pericolo la gente non esiterà a scagliarsi contro l’individuo già di per sè travagliato. In questo senso l’omicidio sembra essere uno sfogo e un veloce rimedio per sbarazzarsi dell’incomprensione e dei pregiudizi che la circondano.

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Se dal punto di vista narrativo ci sono tutti gli ingredienti necessari per coinvolgere, il settore tecnico non è da meno e impreziosisce il pathos dei vari momenti topici con avvolgenti fonti di luce ispirate alle varie fasi della giornata.

Più che al triangolo, l’ultima regia di Smith fa pensare ad un vero e proprio girone infernale nella migliore tradizione dantesca in cui si è costretti a recitare un copione già prestabilito, senza possibità di modificarlo. Dopo un film del genere, sarà difficile essere convinti della tanto decantata perfezione intrinseca alla figura del cerchio.

Triangle è in definitiva una pellicola seria, profonda e toccante, in una parola imprescindibile e prima vera grande sorpresa del 2010.

Recensione: latelanera.com

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By Anam

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