TOKYO! [SubITA]

Titolo originale: Tokyo!
Paese di produzione: Corea del Sud, Francia, Germania, Giappone
Anno: 2008
Durata: 107 min.
Genere: Commedia, Drammatico,
Regia: Michel Gondry, Leos Carax, Bong Joon-ho

Tre terrazze per vedere la città

Negli ultimi anni è tornata in voga l’idea – sperimentata negli anni ’60 in pellicole come Ro.Go.Pa.G. (1963) – dei film collettivi, in cui alcuni registi (di solito tre) talentuosi o “di nome” girano altrettanti mediometraggi legati allo stesso tema. All’inizio del terzo millennio, i temi più in voga sono il cinema (A chacun son cinéma, 2007) e le città: dopo Parigi e prima di New York tocca a Tokyo!. E la più bizzarra delle mondiali non poteva che richiamare il talento sbilenco di Michel Gondry, Leos Carax e Bong Joon-ho.
Gondry (Interior Design) racconta del declino di un rapporto di coppia attraverso la metamorfosi di lei in una sedia; Carax (Merde) descrive la cattura e il processo di un paradossale uomo delle fogne; Bong (Shaking Tokyo) entra nella vita di un hikikomori, una sorta di agorafobico che conosce l’amore. Tre episodi scritti dai rispettivi registi che variano nei generi e nei toni (commedia acre, spinto, indagine interiore) con l’obiettivo di dare un quadro distorto – e pure a suo modo illuminante – della capitale nipponica.

E se il turismo, le luci, i karaoke si possono trovare qua e là nel cinema americano (per esempio in Lost in Translation di Coppola), questi tre “stranieri” – due francesi e un sud-coreano – guardano a Tokyo con occhio diverso, lontano, “altro” se ci passate il termine un po’ desueto. Il centro dei tre segmenti è lo studio della mancanza di rapporti, di comunicazione, di interrelazione tra gli esseri umani, senza scomodare consuete pratiche alla Antonioni (che pure si confanno alla città come dimostra il finale di Tokyo Decadence di Murakami) ma rileggendone il senso in chiavi stilistiche diverse e distorte. Se Gondry rende più latente il suo congenito romanticismo e disegna una metamorfosi kafkiana meno metaforica e più quotidiana, Carax si getta a capofitto nel rimosso (in ogni senso) e costruisce un disgustoso anti-eroe che mette in luce il lato nascosto dell’uomo, mentre Bong – il migliore dei tre – riesce a cesellare in modo impressionante un altro modo di sentire, vivere, percepire, rendendo incredibilmente partecipe anche lo spettatore più distante.

Il metodo narrativo comune, che richiede precisione e abilità registica, pare quello di scavare attorno all’idea di base, che può essere allegorica come in Bong, o può diventare una mera notazione sociologica (la per il design e l’oggettistica in Gondry). L’unico a fallire parzialmente è Carax che tira il suo apologo e le gag troppo per le lunghe, mentre Gondry – con un soggetto un po’ debole – se la cava usando la fantasia e il suo talento tecnico-visivo, infine, al grande Bong, resta il compito di entrare davvero nel cuore e nello spirito della città, del racconto e dello spettatore, grazie a un che sconfigge le fobie. Un modo originale e a suo modo appassionato di conoscere una città e i suoi demoni.

Da notare il modo con cui si cita ironicamente l’immaginario cinematografico giapponese fin dai titoli di testa, modellini della città di Godzilla.

Recensione: bizzarrocinema.it

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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