THE DAY OF DESTRUCTION [SubITA]

Titolo originale: The Day of Destruction
Paese di produzione: Giappone
Anno: 2020
Durata: 57 min.
Genere: Drammatico, Horror
Regia: Toshiaki Toyoda

Il ritrovamento di un misterioso mostro in una cava di carbone sette anni prima ha generato dicerie a proposito di una epidemia nella zona, mentre in molti soffrono di disturbi mentali inspiegabili…

È giapponese il primo lungometraggio di fiction che affronta di petto il tema della pandemia di Covid-19. Un’opera urgente, magmatica, nella quale immagini in bilico tra un Giappone rurale e la modernissima Tokyo si fondono con un sonoro ricchissimo e la musica di alcuni dei migliori gruppi della scena locale. Diretto da Toyoda Toshiaki, “The Day of Destruction” è un invito pressante a prendere coscienza di sé e a cambiare il mondo.

“The Day of Destruction” non è solo il primo lungometraggio di fiction ad affrontare con originalità il tema dell’epidemia di Covid-19. È anche un’opera spiazzante che proprio per questa sua caratteristica, e forse anche grazie alla brevità della forma, riecheggia con efficacia la turbolenza politica, intellettuale e sociale della fase storica che stiamo vivendo. I suoi toni non sono quelli di un realismo dagli intenti moralistici, come il tema avrebbe potuto suggerire ad alcuni, bensì quelli di un calderone in cui alle atmosfere millenaristiche, sature di angoscia e di disorientamento, fanno da contrappunto ambientazioni urbane senza orpelli, e momenti forti di solidarietà umana, di rabbia e di ribellione. A ciò si aggiunge la stessa della realizzazione del film (finanziato con un’iniziativa di crowdfunding) che risulta particolarmente significativa alla luce dei mesi convulsi di questo anno di virus e crisi. Toyoda originariamente aveva progettato un film di denuncia sulle Olimpiadi che avrebbero dovuto tenersi a Tokyo a partire dal 24 luglio scorso. Lo scoppio della pandemia e le condizioni di distanziamento sociale hanno però mandato all’aria il suo progetto originale, che il regista ha ripreso in mano modificandolo solo a fine maggio, quando la situazione è migliorata, per portare infine a compimento le riprese in modo fulmineo dal 22 al 30 giugno, nonostante le difficoltà poste dall’adozione di misure anticontagio sul set. Il film sulle Olimpiadi è così diventato un film sull’epidemia, che preserva però al suo interno il tema originale. La prima di “The Day of Destruction” si è significativamente svolta, come era in origine previsto prima dell’epidemia, il 24 luglio, cioè nella data in cui le Olimpiadi di Tokyo 2020 avrebbero dovuto iniziare se non fossero state rimandate al 2021 a causa della pandemia.

Il film prende le mosse dalla scoperta di un mostro informe, avvenuta sette anni prima degli eventi su cui è incentrato il film, all’interno di una miniera in una zona rurale del Giappone. Col passare degli anni nella stessa area si diffonde un virus mortale originato dal mostro. Kenichi, un asceta in un primo tempo indifferente al diffondersi del virus, rimane intimamente colpito quando la sorella ne rimane vittima. Ispirato da un’antica tecnica buddhista cerca di automummificarsi chiudendosi in un baule al fine di offrirsi così come vittima sacrificale per fermare il morbo. Un terremoto manda però all’aria i suoi piani e Kenichi viene estratto dal baule da un gruppo di gente del posto, tra i quali l’ex minatore e ora meccanico Teppei e il venditore di bevande erboristiche Jiro, entrambi anche monaci del locale tempio. La crisi interna vissuta da Kenichi lo porta, su esortazione di Jiro, a immergersi in una voragine colma di sangue dalla quale emergerà in un “altro mondo” rispetto a quello rurale della prima parte del film. È la Tokyo dei grattacieli e del nuovo grande stadio olimpico. Qui Kenichi, guidato dalle parole del fantasma della sorella, avvia un processo di maturazione: non più riti autosacrificali, ma una nuova coscienza di sé capace di mutare la rabbia interna in forza di cambiamento.

Questo breve riassunto della trama di “The Day of Destruction” non rende però giustizia a questa opera cinematografica. Lo scorrere delle immagini e dei suoni del film è un magma mosso da forza propria, e non da una chiara direzione narrativa, soprattutto nei primi due terzi circa del film. Fin dall’inizio nel film regna la multiformità, si passa fluidamente da un freddo bianco e nero alle immagini buie e rosse della mummia di un monaco, a riprese reali della nave da crociera Diamond Princess, luogo di un enorme focolaio a inizio epidemia in Giappone. In un primo momento le immagini di un Giappone rurale popolato da templi e fitti boschi verdissimi, che dominano la prima parte del film, possono sembrare un richiamo alla tradizione nazionale ancestrale. Ma il film fa presto piazza pulita delle aspettative così create nello spettatore: la parte rurale ha tra le altre la funzione di dare risalto al tema centrale dell’opera, quello della transizione da una prima fase di immobilismo e riflessione a una seconda di presa di coscienza e ribellione. Ma il mondo rurale e quello urbano non sono nettamente divisi, pur nelle loro visibili differenze. Lo si deduce da una parte dall’infetto che, in un set naturale in cui prevalgono i fitti boschi, inveisce contro un antico edificio in cui si sono serrati per sfuggire al contagio “politici, immobiliaristi, banchieri e monaci”, le prime tre categorie sicuramente provenienti dalla città. Nel mondo urbano dipinto dal film si intravede invece un tempio tra gli edifici modernissimi, proprio là dove Keinichi emerge a Tokyo. Quello rurale e quello urbano sono due contesti chiaramente comunicanti, e non opposti, in questo film.

“The Day of Destruction” offre tutta la forza di impatto di un film le cui riprese sono durate solo otto giorni ed è per sua natura urgente, disorientante, ma proprio per questo estremamente stimolante, soprattutto letto nell’ottica di un oggi su cui incombe ancora per intero l’incognita del virus e delle sue conseguenze immediate o a lungo termine. È anche una pellicola che trae vigore da una strategia a tutto campo, che coinvolge visualità, suoni, parole ed elemento umano. Se all’impatto visivo ho già accennato, è forse l’aspetto sonoro quello che più colpisce, dai bassi vibranti e ai ritmi metallici in sottofondo, fino ai rumori secchi e al repertorio musicale perfetto con brani martellanti o di grande atmosfera di alcuni dei musicisti più interessanti della scena di Tokyo, come Gezan, Teshiyuki Terui, Mars89 e Seppuku Pistols. Non vanno trascurati nemmeno i testi dei brani musicali: il primo, dei Gezan, che scorre sui titoli di apertura, è un vero e proprio inno alla ribellione e alla “resistenza 2020”, contro la violenza del governo che lascia morire per prime “le persone inutili”. E qui va sottolineato anche il già ricordato importante ruolo dell’elemento umano, cioè degli attori, tutti perfetti nel mantenere un difficile equilibrio nel navigare sul mare magmatico di immagini, suoni e parole che contraddistingue “The Day of Destruction”. Centrale il ruolo del protagonista MohitoThePeople, di professione frontman e voce del gruppo punk-progressive Gezan, qui alla sua prima prova come attore. La lunghissima capigliatura e il flessibile ne fanno l’interprete ideale per un’opera cinematografica che intreccia alcuni temi della controcultura con le contorsioni del mondo di oggi in preda alla pandemia, e a una contemporanea crisi politico-economica. Una delle scene che più restano impresse di questo film è quella di MohitoThePeople fradicio di sangue in una drammatico attraversamento delle iconiche strisce pedonali dell’incrocio di Shibuya, uno dei luoghi topici di Tokyo.

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Vi sono alcuni temi politici che emergono chiaramente, sebbene in forma non strutturata vista l’urgenza magmatica di questo film che dura meno di un’ora ed è stato girato con mezzi finanziari molto limitati: il crowdfunding ha raccolto circa 40.000 euro e la mancanza di fondi sufficienti ha portato alla rinuncia a includere anche scene ambientate nell’area di Fukushima colpita dallo del 2011, come era stato ivece originariamente previsto. Oltre alla denuncia delle differenze di classe, alla ribellione di fronte alle politiche repressive dello stato e alla discriminazione nei confronti delle categorie sociali più marginali, vi è un’esplicita critica del capitalismo giapponese e, implicitamente, mondiale. Lo conferma tra l’altro il fatto che il regista/sceneggiatore/produttore Toyoda abbia dichiarato che “The Day of Destruction” è un film “necessario e urgente” e che una delle sue intenzioni nel realizzarlo è quella di “esorcizzare Tokyo dallo spettro del capitalismo che si è impadronito della città”. A livello visivo, questo concetto viene ripreso dalla panoramica a 180 gradi, alla fine dei titoli di apertura, sull’agglomerato urbano della capitale sovrappopolato da grattacieli, panoramica che si chiude su un’eplosione del grande nuovo stadio realizzato per le Olimpiadi. In un’intervista Toyoda ha detto che il giorno della prevista apertura delle Olimpiadi, dichiarato del governo “giorno dello Sport”, è in realtà un “giorno di distruzione”. E da parte sua l’attore/cantante MohitoThePeople ha affermato che la troupe e il cast del film hanno instaurato tra di loro una relazione che “disdegna cose considerate preziose nell’ambito del capitalismo, come la produttività”. Il film tra l’altro, per una coincidenza, è uscito appena poco più di un mese prima delle dimissioni del premier Shinzo Abe, la cui figura ha fortemente segnato la politica giapponese degli ultimi quindici anni, tanto che il suo abbandono comporterà necessariamente cambiamenti in presenza dell’attuale situazione di crisi.

Con “The Day of Destruction” il giapponese dimostra ancora una volta la propria estrema sensibilità all’oggi e la capacità di affrontare in modo originale e mirato aspetti sociali, culturali e politici di immediato impatto. Una qualità forse difficile da spiegare in un paese in cui a livello politico regna invece ormai da mezzo secolo l’immobilismo, al quale da un trentennio è andata ad aggiungersi anche un’apparentemente irrisolvibile stagnazione economica. La speranza, che esprime anche “The Day of Destruction”, è che il cinema faccia da apristrada a cambiamenti radicali: “Change, change!” è infatti l’imperativo con cui si conclude.

cinemaglobale.wordpress.com

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By Francesca R.
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