THE CLONE RETURNS HOME [SubITA]

Titolo originale: Kurôn wa kokyô wo mezasu
Nazionalità:
Anno: 2008
Genere: Drammatico, Fantascienza, Visionario
Durata: 110 min.
Regia:

Kohei, un giovane astronauta, decide di partecipare ad un programma sperimentale di clonazione che dovrà “rigenerare” il suo corpo e la sua memoria qualora egli morisse. Quando Kohei rimane ucciso in una missione spaziale gli scienziati sono quindi in grado rigenerare il suo clone. La sua memoria però regredisce fino all’infanzia di Kohei e fino alla morte accidentale del fratello gemello.

Compendiario. Straordinariamente potente. Malinconico e sovrannaturale. Dopo solo due lungometraggi girati, nel 2008 il regista nipponico decide di realizzare un’opera di grandi pretese umane che, fondendo l’elemento personale a quello universale, riesce a tratteggiare il problema ontologico legato al dualismo vita-morte con franchezza ma anche con una tecnica direttiva surreale e quasi grottesca: ne esce fuori “The clone returns home”. Ogni elemento legato alla natura dell’uomo qui viene scomposto ed esaminato alla lente d’ingrandimento attraverso una serie di espedienti tecnici e di geniali trovate sceneggiative che, lungi dall’interessarsi prettamente al genere filmico dichiarato, puntano ad un sunto biologico-filosofico spaventoso in tutto il suo vero e triste risultato;e l’elemento umano qui, perdendo la sua entità carnale, rimane unicamente come un traghettatore d’anime che trasporta l’ al di là della concezione stessa di vita, al di là di ogni cosa, dove non esistono certezze ma solo misteri. Un giovane astronauta acconsente a partecipare ad un programma di clonazione che, in caso di decesso, lo riporterebbe in vita attraverso la ricreazione di corpo e mente, e quando egli muore accidentalmente in una missione spaziale, il clone viene utilizzato.

Fuori da ogni aspettativa però il primo clone, così come il secondo, regredisce mentalmente fino al tragico momento vissuto nell’infanzia della morte del gemello, evento questo che, in tutta la sua pesante e sconvolgente capacità, distruggerà l’ stesso, facendo naufragare ogni speranza scientifica a riguardo. È decisamente impressionante notare quanto il cinema giapponese sia capace di spaziare, rinnovarsi continuamente e fornire una qualità sempre così ottima all’interno delle proprie opere; tanto più che assistiamo a veri e propri capolavori da registi semi-sconosciuti o comunque all’ombra dei riflettori, come questo talentuoso Nakajima. Se a prima vista parrebbe nella suddetta opera di assistere ad un’ennesima riproposizione fantascientifica non lontana dal genere “Interstellar”, tale elemento si intuisce immediatamente essere tutt’altro che preponderante, anzi. Come con “Solaris” (i cui rimandi qui sono talmente vari e costanti dall’essere forse anche troppi), ma sempre rielaborando e personalizzando ogni elemento, l’autore utilizza l’elemento spaziale, non semplicemente come un luogo qualsiasi per riproporre le medesime vicende ambientate sul pianeta, o per mostrare banali storie d’azione ricreando un’ipotetica realtà, ma per riflettere sull’intero concetto di umanità e degli elementi che influenzano e caratterizzano la stessa, solo in scala universale. Perché se l’uomo è imprescindibilmente legato alla propria natura c’è da chiedersi quanto il raggio d’azione dello stesso si possa espandere per non sconfinare nell’immenso campo spaziale dell’immortalità, dell’infinitesimalmente grande, ed è questa la domanda che si pone il regista nell’opera in questione. Ma nel compiere quest’ardua e maestosissima impresa egli mette in confronto non solo l’aspetto universale ed ignoto dell’esistenza ma anche quello prettamente umano, legato all’esperienza vissuta, confrontando la ripercussione della memoria e dei suoi traumi con l’immensa vastità delle possibilità scientifiche, che immancabilmente si ritrovano a scontrarsi con un concetto di vita predestinata, immutabile ed inconoscibile. Tanto meno clonabile. E qui giungiamo al punto centrale della pellicola in questione.

Quest’irrealizzabile progetto scientifico infatti non è affatto (o almeno non soltanto) il pretesto per un ragionamento prettamente materiale e conoscitivo, ma bensì l’espressione più grande della presunzione umana, che pretende con continua ed imperterrita ostinazione di avventurarsi in campi ad essa sconosciuti ed occulti, inscenando unicamente una prova di forza perdente per principio e quantomai vana. Perché, come ampiamente dimostrato qui attraverso la continua distruzione dei messi a punto, l’uomo risulta impossibilitato anche solo ad avvicinarsi a realtà a lui sconosciute. Da simili ragionamenti, che di fatto sono solo il guscio dell’insieme di argomentazioni che l’opera attua, ovvero dalla presa in considerazione del concetto di incalcolabilità dell’esistenza, prendono vita una serie di considerazioni che puntano concretamente a riflettere sul vero significato della vita e della sua caducità. Così infatti, come il fratello del protagonista e la madre, anche il protagonista stesso morendo diviene il centro di tale ragionamento, portando lo spettatore per forza di cosa a chiedersi cosa davvero significhi vivere, e quanto questo atto, che prescinde dalla scelta volontaria, possa influenzare od essere influenzato, cambiare o essere cambiato. Certo a livello materiale la risposta è che l’uomo rimane un burattino nelle mani di entità ben più superiori ed incalcolabili, quindi di conseguenza impotente nei confronti di chiunque se non di se stesso o al limite dei suoi simili. Dal film in causa infatti ne emerge un giudizio profondamente contraddittorio e contrastante nei confronti di ogni tipo di scienza e di ogni tipo di tentativo atto a sconvolgere il circolo normale della vita; e come in “Solaris” tale tentativo genera conseguenze incalcolabili ed imprevedibili, e qui subentra l’affascinante quanto suggestivo gioco artistico alla base dell’impianto registico della pellicola, di cui parleremo più avanti. A conti fatti perciò una prova di forza che tenta di riassumere con fedeltà e con rigore intellettuale le reali condizioni di sussistenza di un’esistenza umana tipo, unendo la personale entità del soggetto al concetto universale di possibilità scientifiche, prese in considerazione in quanto atti potenziali e non scoperte intellettuali fini a se stesse.

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Un gioco di possibilità che si avventura con coraggio nel campo dell’ipotesi, fornendo proprio grazie a tale tentativo una propria definizione di vita, pericolosamente inconoscibile e fatidicamente definitiva nei suoi atti. Se però tali considerazioni risultano importanti e decisive nella loro natura imponente e generalizzante, è solo grazie all’immenso apporto tecnico che la pellicola in questione compie il passo fondamentale per trasformarsi in un vero e proprio capolavoro culturale. È fuori ogni dubbio la spettacolare entità dell’intero apparato direttivo, che riesce con incommensurabile abilità ad accostare sempre più la sceneggiatura con la suggestiva regia, fino ad unire i due aspetti e farli diventare una cosa sola, come vedremo nella sequenza finale, sicuramente una delle più belle della storia del cinema moderno. Notiamo infatti una dilagante attenzione per la resa surreale e visionaria del tutto, atta a confondere le idee e a rendere confusa e terrificante l’intera sezione del film dedicata alla vita dei cloni. Ritornando questi ultimi inevitabilmente al momento della tragica morte del gemello e quindi alla vita infantile, rendono possibile all’autore un bellissimo gioco di sensazioni, di visioni spiritiche, di inspiegabili ripresentazioni (come quella della tuta spaziale), e di mute contemplazioni, che fondono i ricordi del passato con la realtà della situazione creando una sensazione di instabilità e di completa ottenebrazione. A conti fatti quindi notiamo una regia decisamente impareggiabile ed una completa vittoria sotto tutti i punti di vista,dalla splendida fotografia alla grandissima riuscita del ritmo,sempre costante e mai noioso. Nessuna scena è mai superflua e nessun dialogo (nella sua quasi nulla presenza, soprattutto nella seconda parte dell’opera)è imprescindibile. L’attenzione è completamente rivolta verso ciò che l’immagine evoca e suggerisce in quanto il messaggio principale dell’opera viene interamente veicolato ed incanalato attraverso l’immagine stessa, che diventa qui fine unico di comprensione e non mezzo di svago,e questo è l’aspetto principale che rende il film in questione un vero diamante da collezione. Concludendo, un viaggio profondo ed immortale che fa riflettere e che stupisce per la sua potenza espressiva. Un vero e proprio capolavoro nel senso proprio del termine, che ragiona in chiave pessimistica gettando le basi di una comprensione esistenziale non indifferente, oltre ad essere un onesto monumento eretto in onore della memoria e del suo peso nella vita.

Recensione: cinepaxy.wordpress.com

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By Anam

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