THE ATOMIC CAFE [SubITA]

Titolo originale: The Atomic Cafe
Nazionalità: USA
Anno: 1982
Genere: Documentario, Horror
Durata: 86 min.
Regia: Jayne Loader, Kevin Rafferty, Pierce Rafferty

Avevo promesso di procedere in ordine cronologico ed è proprio ciò che ho intenzione di fare. Tuttavia, per aprire la nostra (perché sono tutti film suggeriti da voi) rassegna sulla paura della bomba, credo non ci sia niente di meglio di questo documentario costato ai suoi realizzatori cinque anni di e scaturito dall’assemblaggio di centinaia di filmati girati in un arco di tempo che va dalla seconda metà degli anni ’40 ai primi anni dei ’60.
Si tratta di filmati propagandistici, di spot pubblicitari, di spezzoni di cinegiornali, di interviste d’epoca, di dichiarazioni di presidenti e politici, in un susseguirsi di immagini che vanno dall’assolutamente ridicolo all’assolutamente terrificante. E spesso le due cose confluiscono in un’unica inquadratura.
Se l’idea di portare avanti su questo blog una piccola retrospettiva dedicata al cinema atomico nasce dal desiderio di vedere in che modo il mezzo cinematografico fotografava, filtrava, ingigantiva o, in alcuni casi, minimizzava una delle paure più radicate di un determinato periodo storico, quello della guerra fredda, allora prima di parlare di finzione scenica, è interessante dare un’occhiata a del materiale d’archivio preso, montato e sbattuto in faccia allo spettatore senza apportare alcun tipo di manipolazione.
Eppure, qui bisogna stare molto attenti. Perché (ed è ovvio) la manipolazione c’è. È insita nel montaggio, che è forse una delle forme di manipolazione più raffinate. Montare non significa solo scegliere, significa anche raccontare. Il racconto di Atomic Cafe è quello di una nazione psicotica. La nazione più potente del mondo, aggiungiamo, tanto per comprendere il grado di psicosi e l’influenza di questa psicosi sugli altri paesi al di qua della cortina di ferro.

Noi conosciamo l’America del boom del dopoguerra attraverso il cinema. È in quel momento che l’immaginario collettivo occidentale è stato plasmato da quello americano. Eppure è difficile, anche oggi a distanza di oltre mezzo secolo, avere l’esatta percezione di cosa volesse dire vivere nel terrore. Guardando The Atomic Cafe non dico che riuscirete a comprenderlo con precisione, ma avrete di sicuro un ritratto molto fedele dell’atmosfera che si respirava in quegli anni, sebbene sbiadito dal passare del tempo e dalla sostituzione del terrore atomico con altri tipi di terrori. Ciò che non è cambiato, credo, sono i mezzi attraverso cui la paura viene fatta penetrare nella società. In questo senso, The Atomic Cafe è ancora molto attuale, considerando che nel 2015 ci sono infiniti mezzi di propaganda in più rispetto a quanti se ne avevano a disposizione negli anni ’50.
Eppure, il periodo della grande paura atomica è molto peculiare perché compito dell’informazione non era solo quello di far si’ che gli americani temessero il loro nemico sovietico e le sue potenzialità distruttive. In un certo senso, a quel popolo terrorizzato veniva anche richiesto di amare la bomba atomica come strumento di difesa, rappresaglia e anche di deterrenza, nonché come baluardo dei valori di libertà e democrazia. Questo indottrinamento molto ambiguo è reso alla perfezione dal montaggio di Loader e Kevin Rafferty.

Si comincia con Hiroshima e Nagasaki, ovviamente, col discorso di Harry Truman dopo il lancio della bomba, in montaggio alternato con i festeggiamenti per la vittoria in terra americana e con immagini che documentano gli effetti delle radiazioni sulla popolazione delle due città colpite. In questo modo gli autori di The Atomic Cafe impostano subito lo stile del film, quel bilanciamento tra spensieratezza e orrore che lo rende un’esperienza così straniante.

Ci vuole una profonda fiducia nel potere delle immagini per affidarsi solo a loro e alla musica (unico elemento aggiunto) nella costruzione di un racconto complesso, e dalle innumerevoli sfaccettature e possibilità interpretative. Un racconto che ci porta a spasso per le contraddizioni di un popolo, dal militarismo aggressivo, alla sincera convinzione di trovarsi dalla parte giusta, da un bisogno disperato di tranquillità e sicurezza dopo un lungo conflitto, alla noncuranza con cui si accetta di vivere a continuo rischio di distruzione totale, da un marcato sentimento di superiorità nei confronti del resto del mondo (la cui inevitabile conseguenza è quella di volersi fare gendarmi e protettori di chi si reputa inferiore) a un’ingenua e quasi commovente difesa di un sistema di valori basato su enormi centri commerciali, scatole di cereali supernutrienti, ampi parcheggi e cene precotte davanti alla radio prima e alla tv poi.
E tutto questo non c’è bisogno di spiegarlo. The Atomic Cafe lo mostra attraverso filmati di repertorio che ci consegnano una fotografia raggelante di una mentalità rimasta sostanzialmente invariata, anche se forse si è fatta meno “innocente” e più scaltra. Una mentalità, e forse questa è la cosa più spaventosa, se vista attraverso il filtro di uno spettatore europeo, condivisa a ogni livello: dall’ultimo bifolco su un trattore al presidente degli Stati Uniti in persona. Si ha l’impressione di un pensiero unico annichilente ma, nonostante tutto, sincero e profondamente sentito e quindi di una coesione sociale ancora molto netta. Siamo distanti dai conflitti interni degli anni a venire, distantissimi poi dal cinismo degli anni ’80, decennio di realizzazione del film.
In The Atomic Cafe, il nemico interno viene schiacciato con appena qualche sparuta e subito ridicolizzata protesta, i coniugi Rosenberg portati alla sedia elettrica mentre le mamme annaffiano il prato e seguono in diretta l’esecuzione per radio e il maccartismo è solo un modo come un altro per rendere sicura l’Amercia dalla minaccia rossa.

Guarda anche  BALLOON CLUB, AFTERWARDS [SubITA]

Se c’è un protagonista in The Atomic Cafe, non è la bomba, non è la guerra fredda e non è neanche la propaganda. Il protagonista è, in effetti, ciò che interessa a noi in questa rassegna: la paura. Un sentimento che infetta ogni angolo della vita quotidiana di milioni di americani e si ripercuote, per forza di cose, sul mondo intero. Una paura che si cerca di mitigare attraverso continue esercitazioni, cartoni animati che insegnavano ai a gettarsi a terra e raggomitolarsi in caso di attacco nucleare, illusioni di protezione fornite da rifugi atomici, da tute anti radiazioni, da scorte di cibo accumulate compulsivamente, da villette a schiera costruite con dei già belli e pronti. E quando i primi cenni di distensione (segnati dalla storica visita di Chruščëv negli Stati Uniti nel 1959) vengono a portare un minimo di sollievo alla cappa soffocante di terrore, ecco che The Atomic Cafe si chiude con la simulazione di un bombardamento nucleare sugli Stati Uniti, montata ad arte usando spezzoni di varia natura, che lascia addosso strascichi di paura molto difficili da eliminare pensando che si tratti di “roba vecchia e superata”.

The Atomic Cafe non è un semplice documentario, è un’esperienza storica e umana che ha il potere di scaraventare lo spettatore contemporaneo in un mondo distopico. Con la differenza che la distopia era in atto, realizzata nel contesto quotidiano di milioni di individui.
Diventa logico, a questo punto, che sia stato il cinema fantastico, a prescindere dalle velleità, dai risultati artistici e dalla plausibilità o meno delle varie narrazioni, a farsi carico di questa psicosi di massa e a portarla alla luce. E la nostra rassegna può finalmente cominciare.

Recensione: ilgiornodeglizombi.wordpress.com

Come è stato il film ?
+1
1
+1
1
+1
0
+1
0
+1
0
+1
0
+1
0
By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

0 Comment

No Comment.

Related Posts

AGRAfilm è ONLINE AGRAfilm è OFFLINE