ADIEU AU LANGAGE [SubITA]

Titolo originale: Adieu au langage
Nazionalità: Francia
Anno: 2014
Genere: Drammatico, Visionario
Durata: 70 min.
Regia: Jean-Luc Godard

Godard dice addio. Un addio che pare impossibile. Se il cinema, come ricorda Christian Metz, è linguaggio, il mentore della Nouvelle Vague non può che annunciare un fine che non avrà mai fine. Il suo Adieu è un dunque paradossale: una lotta impari, contro il ma nel linguaggio. Un addio abitato, come già Film Socialisme, dalle utopie del Novecento, dal pensiero del secolo passato, “pesante“ come la pellicola, con il quale si tenta, vanamente, di comprendere un presente liquido come l’immagine digitale. Il narratore sa, l’immagine è. La tragica missione del regista veggente è consapevolmente destinata allo scacco. Come distruggere il presente con le parole e i giochi linguistici di un passato che non può più produrre concetti nuovi? Volontario prigioniero del già detto, Godard cerca allora di innovare la forma-immagine. Lontano anni luce dall’umanesimo non ombelicale di un Alain Cavalier, il regista elvetico fonda stili e livelli, fa coabitare formati (microcamere digitali, 35mm) gonfiandoli in una terza dimensione. La dimensione della coscienza. Il 3D godardiano è infatti la conclusione di un sillogismo. L’immagine ipermoderna (2D: la premessa maggiore: il cinema non può che espanso) capta parole e azioni déjà vues (1D: la premessa minore: il racconto tradizionale è riduttivo). L’incontro di A e B fa esplodere il visivo. Il 3D è l’effetto visivo di questo incontro/scontro: l’occhio va da una parte, mentre la parola conduce altrove. E viceversa. Raccontare una storia è oramai impossibile. Occorre trascenderla. Per dire addio al linguaggio come riduzione e accogliere il mistero di una natura non riduttibile.

Una traccia narrativa che mette in scena un’intimità patetica. Una coppia litiga, si separa. E pare lasciare una sola traccia significativa: une traccia scatologica. Meglio allora far navigare lo sguardo altrove, tra il sapere enciclopedico del narratore demiurgo e la coscienza aculturale di un animale. Dalla cagnara domestica di esseri che non sanno più cosa dire alla naturale purezza di un animale domestico che, come l’immagine, non ha bisogno di dire per significativo. Il ritorno alla natura coincide con la fine di un che non comunica più (il racconto tradizionale) e con l’affermazione di un pre-linguaggio che sempre comunicherà. Una palingenesi cinofila: questo è il cinema che ancora può secondo Godard.

Recensione: spietati.it

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By Anam

I'm A Fucking Dreamer man !

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