THE AFTERMAN

Titolo originale: The Afterman
Paese di produzione: Belgio
Anno: 1985
Durata: 90 min.
Genere: Drammatico, Fantascienza,
Regia: Rob Van Eyck

L'”Afterman” del titolo è un ragazzone di circa 35 anni (Jacques Verbist), dall’aspetto nerdoso e un po’ sciatto, che vive in un bunker pieno di computer che, a quel che sembra, monitorizzano tutte le funzioni del rifugio. Il nostro uomo sembra essere qui da solo da molto tempo, forse anni (da quando il non specificato evento ha messo fine al mondo come lo conosciamo, probabilmente), e riempie le sue giornate mangiando cibo artificiale e scopando una donna cadavere tenuta in ghiaccio in una cella frigorifera.

Se ci fosse un premio per la scenografia più pigra e scialba mai usata in un film postatomico, The Afterman sarebbe un credibile candidato per la vittoria. Dimenticate i deserti spopolati che Mad Max 2 e Hokuto no Ken hanno imposto come setting obbligatorio per questo genere di film: il belga Rob Van Eyck, regista e factotum di questa pressoché dimenticata pellicola, gira in ameni boschi ricchi di vegetazione e mostra orticelli coltivati perfettamente sani. Idem dicasi per gli homo sapiens: non se ne vedono molti, ma sono tutti più o meno in buona salute e dotati di fisionomie normali. Per dare l’impressione di mondo desolato, la scenografia si accontenta di far vedere qualche casa diroccata. Dove sono tutti i danni da bomba che il cinema di genere ci ha insegnato ad amare? Beh, io non ho una risposta.
The Afterman fuoriesce dal Belgio, lato Fiandre, nel 1985. È un film con diverse particolarità. Una è discussa appena sopra: è un postapocalittico che non assomiglia per niente a un postapocalittico. All’inizio ho parlato in effetti di postatomico, ma la vera verità è che non c’è nulla che faccia realmente pensare che una bomba sia esplosa da qualche parte: il suggerimento viene unicamente dalla cover del DVD, sulla cui attendibilità non metterei la mano sul fuoco. Volessimo scartare questa interpretazione nucleare, potremmo dirigerci verso antropofagi, meteoriti, catastrofi ambientali di vario tipo, gamma-ray burst, zombi, parusie o kaiju: un’idea vale l’altra, tutto ciò che si sa è il cosa (= il mondo è assai meno popolato e più regredito di come lo conosciamo), mentre il come (= qual è la causa del disastro?) non sarà mai chiarito. È fin troppo evidente che Van Eyck non aveva franchi sufficienti per costruire un mondo desolato come Dio comanda1, ma l’impressione generale è che, dopotutto, neanche gli interessasse farlo (They just didn’t care, come direbbero su TV Tropes). L’importante era la storia che aveva in mente, e basta.

E qual è questa storia? Va premesso che non è semplicissimo inquadrarla, perché un’altra particolarità di The Afterman, forse la sua caratteristica più peculiare, è la totale assenza di dialoghi. Si tratta quindi di intuire quel che succede su schermo… impresa ardua, vista la controintuitività delle situazioni. L'”Afterman” del titolo è un ragazzone di circa 35 anni (Jacques Verbist), dall’aspetto nerdoso e un po’ sciatto, che vive in un bunker pieno di computer che, a quel che sembra, monitorizzano tutte le funzioni del rifugio. Il nostro uomo sembra essere qui da solo da molto tempo, forse anni (da quando il non specificato evento ha messo fine al mondo come lo conosciamo, probabilmente), e riempie le sue giornate mangiando cibo artificiale e scopando una donna cadavere tenuta in ghiaccio in una cella frigorif…

…ok, un momento.

Non so che genere di film avesse in mente di girare il buon Van Eyck. In pochi lo hanno visto, ma qualche opinione in rete si trova. C’è un certo consenso nel ritrovare, in questa pellicola, temi di una certa profondità: nella fattispecie si riscontrerebbe una riflessione sulla natura dell’uomo e dei suoi bisogni. Forse c’è del vero, ma è curioso constatare quanta sexploitation il regista abbia deciso di buttare dentro al film per fare passare il messaggio. The Afterman non è un porno, a fatica lo si potrebbe considerare un erotico, ma c’è comunque abbastanza carne (femminile) esposta da poterlo accusare di gratuità. L’intera pellicola parla di una comunità umana in cui ognuno è per sé e contro chiunque altro, e la soddisfazione dei bisogni della carne e dello stomaco è l’unica cosa che conta: mi sta bene, ma a che serve in tutto questo una scena lesbo di cinque minuti, ai fini della trama? Penso che tutti sappiamo la risposta.

Tornando a noi: la routine ormai atemporale del nostro uomo barbuto si interrompe quando un malfunzionamento dei sistemi di controllo rende inabitabile il bunker. Costretto ad affrontare il mondo esterno, l’Afterman si troverà invischiato in una serie di disavventure che sarebbero pure fantozziane se non fosse per l’atmosfera un po’ squallida e cupa dell’ambiente (Van Eyck non sembra poi così sprovveduto, diciamolo). Il film ha una struttura grossomodo episodica, costellata di strane incoerenze nel setting2 e scarsamente comprensibile. Il nostro eroe subisce soprusi di vario tipo: viene sodomizzato dai primissimi uomini che incontra, addirittura, e verrà poi catturato e utilizzato come schiavo da un violento redneck. Durante la prigionia avrà una compagna di sventura, una ragazza bellissima (credo si tratti di tale Franka Ravet, purtroppo apparsa solo in questa pellicola) con la quale formerà, dopo un’iniziale diffidenza, una solida unione affettiva destinata a durare fino alla fine del film. Fine che giunge dopo un’ora e venti circa -non è un’opera lunghissima- e che, come era lecito aspettarsi, non è nemmeno un finale vero…

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Soprassiedo sulle altre vicende che comunque non fuoriescono dal trend generale della pellicola e vado direttamente alle conclusioni. The Afterman in sostanza non mi ha deluso, ma probabilmente il mio parere sarebbe meno positivo se non ci fossero state quelle due o tre paia di tette che si vedono in giro. Ok, niente di trascendentale (anche se si tratta comunque di belle donne, la Ravet poi è davvero splendida), ma un po’ di fanservice fa sempre il suo sporco lavoro. Le prove attoriali sono nella decenza (l’assenza di dialoghi ha aiutato), la qualità tecnica si salva e la stramba natura un po’ arty e un po’ exploitativa del tutto rende The Afterman un passaggio consigliato a tutti gli amanti delle stramberie. Tutti gli altri girino al largo.

[1] precisazione personale sulle lande postatomiche. Mad Max 2 settò uno standard quasi universale per questo tipo di ambientazione, ovvero l’outback australiano. Una scenografia suggestiva e funzionale che è entrata nell’immaginario collettivo, e sinonimo stesso del paesaggio postapocalittico in connubio con le città sporche e desolate stile Fuga da New York. Ma è pur vero che nessuno obbliga a costruire storie “after the end” forzatamente collocate in posti del genere. Due esempi a caso: nel 1901 Shiel ambientava La nube purpurea in una Terra con biomi sostanzialmente integri; la stessa cosa accadeva nel neozelandese The quiet Earth, questo peraltro coevo di The Afterman.
[2] nonostante l’indefinita catastrofe abbia senz’altro azzoppato la civiltà, vediamo posti inspiegabilmente ancora perfettamente funzionanti (un bunker è sfarzosamente arredato, con anche una piscina piena di acqua pulita e clorata; lo stesso rifugio del protagonista consuma per certo parecchia elettricità, che non si capisce da dove venga); a poca distanza vediamo invece contadini che non hanno il benché minimo macchinario e usano schiavi per tirare un aratro…

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